Come ho avuto modo di ragionare in un pezzo precedente, la vicenda di Chiara Ferragni, e in particolare dello snodo critico costituito dalla pesante sanzione comminata dall’Autorità Antitrust per pubblicità ingannevole, rappresenta un caso rilevante di dinamica non lineare della reputazione, la quale ha avuto una lunga e possente fase di crescita –sia in termini di seguaci sui social network, che di fatturati e profitti- per poi entrare in un momento di feroce crisi, se non declino, esattamente a partire da tale sanzione dell’Antitrust.
Come moltissimi cittadini ormai sanno, tutta la vicenda ha preso le mosse da questa decisione della Commissione Antitrust, la quale ha comminato una multa di oltre un milione di euro alle società controllate dalla Ferragni (400mila euro alla società Fenice, e 675mila euro alla TBS Crew) e di 420mila euro alla società Balocco che ha prodotto i pandori “Pink Christmas” firmati e pubblicizzati dalla Ferragni medesima. A onor del vero, già nel dicembre 2022 Selvaggia Lucarelli sul quotidiano Il Domani si era per prima egregiamente occupata della questione, evidenziandone i profili che potremmo in maniera eufemistica definire “dubbi”.

Secondo l’Autorità Antitrust, la pubblicità ingannevole consisteva per l’appunto nell’indurre i consumatori e il pubblico in generale a ritenere che la donazione totale da farsi all’Ospedale Regina Margherita sarebbe aumentata in funzione del successo commerciali dei pandori, in quanto (cito testualmente dal comunicato stampa di Balocco) “le […] vendite serviranno a finanziare un percorso di ricerca promosso dall’Ospedale Regina Margherita di Torino”. Dal momento che Balocco aveva già donato una cifra fissa di 50mila euro all’Ospedale, si instaurava un pericoloso e ingannevole divario tra la realtà della donazione fissa e il messaggio comunicato al pubblico dalla Balocco e dai messaggi della Ferragni, che lasciavano intendere un meccanismo di crescita della donazione totale in funzione delle vendite totali del pandoro “griffato”, il cui prezzo di vendita –pari a 9,37 euro– era largamente superiore (di circa 5,7 euro) rispetto al prezzo del pandoro “standard” prodotto dalla Balocco. Ogni tanto (anzi: molto spesso!) la matematica e la geometria aiutano a far capire meglio delle spiegazioni verbali: la realtà dei fatti consiste in una donazione “piatta” al variare delle vendite totali del pandoro griffato, mentre i consumatori erano indotti a ritenere che la relazione fosse invece crescente, cioè una retta delle donazioni totali che cresce al crescere delle vendite del pandoro.

Tant’è. Bisogna altresì notare come –a riprova della propria decisione- l’Autorità Antitrust si sia basata su alcune mail scambiate tra gli staff della Balocco e di Chiara Ferragni, in cui la Balocco faceva presente la necessità di non alludere ad un legame tra donazioni e vendite del pandoro, esattamente con il fine di evitare accuse di pubblicità ingannevole. Dall’altro lato, lo staff della Ferragni rimarcava come le scelte sull’attività di comunicazione sarebbero state prese con larghissima autonomia da esso e non dalla Balocco.
Dunque non stupisce il fatto che l’Autorità abbia deciso di colpire in maniera più severa Chiara Ferragni e le sue società rispetto alla Balocco.
E i fatti successivi? Le contromisure prese da Chiara Ferragni nei giorni successivi alla notizia della sanzione sono state ritenute in larga misura insufficienti, se non controproducenti: pur potendo apprezzare sotto il profilo della concretezza dell’aiuto una donazione “riparatoria” di un milione di euro all’Ospedale Regina Margherita, il silenzio piuttosto lungo della Ferragni sui social network (e in particolare su Instagram), totalmente inusitato rispetto alle sue abitudini precedenti, è diventato esso stesso notizia, sulla base dell’ovvia applicazione di un “principio di differenza”: se un personaggio famoso non scrive nulla e a un certo punto si mette a scrivere tantissimo (immaginatevi un Enrico Cuccia che avesse aperto un profilo Twitter e avesse cominciato a rispondere a chiunque, anche a Fragolina 7846) ciò diventa essenzialmente una notizia. Allo stesso modo è fortemente notiziabile l’improvviso silenzio di chi per fini personali o commerciali ha passato anni a documentare sui social network la propria vita pubblica e privata.

Come si può ben immaginare, altre iniziative di beneficenza attuate da Chiara Ferragni negli anni scorsi sono ora nel mirino dell’opinione pubblica, dalle Uova di Pasqua alla bambola Trudi: la domanda che sorge spontanea è se il caso dei pandori #PinkChristmas sia un caso isolato, oppure vi siano state altre operazioni commerciali e di beneficenza in cui l’ammontare complessivo della donazione è fisso, mentre i consumatori possano essere stati indotti a ritenere che tale ammontare fosse una funzione crescente delle vendite totali del prodotto in questione.
Sotto il profilo più strettamente giudiziario, è notizia di due giorni fa l’iscrizione nel registro degli indagati di Chiara Ferragni e di Alessandra Balocco, presidente e amministratore delegato della società Balocco, per concorso in truffa aggravata, da parte del procuratore aggiunto di Milano Fusco. Tale iscrizione si basa principalmente sull’assenza di collegamento tra ammontare totale della beneficenza e vendite del pandoro, imputando peraltro l’aggravante della “minorata difesa dei consumatori”, la quale è tipica delle frodi telematiche, a cui la procura accosta l’attività di pubblicizzazione e vendita dei pandori avvenuta nel caso in questione.
Non sappiamo come finirà la vicenda sia sotto il profilo processuale che sotto il profilo mediatico: tuttavia, ritengo pressoché certa una spinta –anche attraverso lo strumento legislativo- verso una trasparenza assolutamente maggiore nelle attività di beneficenza connesse alla vendita di prodotti e servizi.
Tale trasparenza si può banalmente attuare facendo sapere ai consumatori quanti euro (o quale percentuale del prezzo di vendita) vengano spesi o donati per lo scopo benefico per ogni unità del bene acquistato: la matematica è trasparente e aiuta la buona beneficenza.