Chicco Testa: “In Italia nessuno pensa a come aumentare le risorse. Auto elettriche solo per ricchi, motore a scoppio è formidabile”

«I partiti italiani pensano solo a spendere. Non accettano l’evidenza che il problema principale dell’Italia è il debito pubblico». Lo dice Chicco Testa, presidente di Assoambiente. In passato leader di Legambiente, nel corso della sua vita professionale ha ricoperto diversi incarichi di vertice per aziende pubbliche e private ed è stato, tra l’altro, presidente di Acea e di Enel. Per i riformisti, secondo lui, c’è una sola stella polare: «la crescita, una parola che nella politica italiana non esiste più».

Che cosa vuol dire riformismo? Andare avanti per prove ed errori, come suggerisce da sempre il pragmatismo anglosassone, contro il sogno di società perfette?
«Il riformismo è il tentativo continuo di migliorare le cose, di rendere la società più equilibrata e inclusiva all’interno di una democrazia liberale e capitalista. In Italia, uno dei teorici principali del riformismo è stato Salvatore Veca. Il riformismo è l’accettazione di un metodo sperimentale contro dogmatismo e teorie generali della storia. A differenza di quello che pensava Croce, la storia non è “una strada dritta verso la libertà”. L’Italia ha potuto godere della crescita in mancanza di guerre, adesso il mondo è diventato più instabile».

Quali sono le sfide attuali per i riformisti?
«Dobbiamo ritornare con i piedi per terra. Il dibattito tra i partiti è fasullo e fazioso. Invece c’è una disattenzione totale al problema principale dell’Italia che è il debito pubblico. A causa del debito paghiamo 90 miliardi l’anno di interessi che, come ha ricordato il governatore della Banca d’Italia Fabio Panetta, è l’equivalente di quello che spendiamo per la scuola. Significa in sostanza che non possiamo spendere per il welfare: come una famiglia che per pagare un mutuo non può accedere alle cure sanitarie».

E i partiti italiani che fanno?
«Solo chiacchiere. Se si esclude l’area che fa riferimento a Renzi, Calenda e Marattin, tutti i partiti pensano solo in termini di aumento della spesa. Con differenze, ovvio. Salvini parla di flat tax e bassa soglia di età per le pensioni. La sinistra vuole risorse per sanità e scuola. Ma nessuno si pone il problema di come si paga tutto questo. Nessuno si pone il problema di aumentare le risorse».

Per questo servirebbe la crescita…
«Esatto. Serve innestare la crescita, una parola che nella politica italiana non esiste più. Solo così ridurrai il debito e il peso degli interessi sul debito. Invece si discute di gender, immigrati e fascismo… Tra qualche anno, inoltre, perderemo 10 punti di Pil perché avremo una riduzione demografica di 5 milioni di persone. Insomma, crescita e demografia sono i due temi centrali per chi vuole fare le riforme».

Altro che ‘decrescita felice’…
«Faccio un esempio: il Jobs Act è l’unico provvedimento che ha creato negli ultimi anni un po’ di lavoro. Ora la Cgil e il Pd fanno un referendum contro: che cos’è se non un attacco alla crescita? Chi segue l’ideologia della decrescita non capisce che nel 2030 i 4/5 dell’umanità vivranno fuori dall’area dell’Ocse. Cina, India e Africa vogliono crescere disperatamente perché solo così possono avere acqua potabile, scuole e servizi».

E per crescere questi paesi hanno bisogno di energia…
«Certo. Investono sul fotovoltaico ma anche sui combustibili fossili. Nel 2023 è stato raggiunto il picco della produzione di combustibili fossili (8 miliardi di tonnellate) proprio su impulso dei paesi emergenti. La produzione di petrolio ha sfondato il suo tetto con 100 milioni di barili al giorno. Così quando sento il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres che blatera di ecologia e cambiamento climatico mi chiedo come pensa di portare la ricchezza ai 4/5 del mondo».

Il tema dell’energia è cruciale anche per l’Europa e l’Italia. L’aggressione della Russia all’Ucraina ci ha fatto scoprire la dipendenza dalle forniture di Mosca e ci ha costretto a rimettere tutto in discussione…
«Una Russia integrata all’Europa come partner commerciale affidabile fu una scommessa: oggi è andato tutto a gambe all’aria. Godiamo di una sicurezza energetica relativa: l’Italia dipende dall’estero all’80%. Oggi ci rivolgiamo ai paesi arabi e all’America che è diventato il primo produttore di gas e petrolio nel mondo. La crisi potrebbe manifestarsi in qualsiasi momento».

In più l’Italia non può contare sull’energia nucleare…
«È un segno dell’arretratezza del paese. Non dobbiamo discriminare le tecnologie ma valutarle sulla capacità di ridurre le emissioni. Ci sono voluti anni per superare i pregiudizi dei tedeschi (che nel frattempo hanno chiuso le loro centrali nucleari), ma i francesi hanno puntato i piedi. Ora sento il ministro Pichetto Fratin che rivaluta il nucleare in modo positivo: bene, ma bisogna passare dalle parole ai fatti».

L’Europa ha sposato la transizione ecologica, forse con qualche eccesso. E a sinistra l’ambientalismo è diventato un mantra…
«L’ambientalismo a sinistra ha preso il posto del socialismo come ideologia totalizzante capace di spiegare tutto. Un calderone unico in cui finiscono anche le migrazioni, i diritti delle donne e i rapporti Nord-Sud del mondo. Un’evidente assurdità. Si dimentica che i combustibili fossili hanno reso ricco il mondo».

E in alcuni casi le politiche ambientali si ripercuotono sui ceti meno abbienti…
«Certo, basta ricordare tre esempi. I 200 miliardi di incentivi per le energie rinnovabili sono stati pagati dalle famiglie con le bollette: ma i soldi li hanno presi i grandi fondi di investimento. Il Superbonus 110% ha avvantaggiato i più ricchi, i proprietari di case di lusso. Infine, gli incentivi per le auto elettriche favoriscono solo chi si può permettere la seconda macchina, vive nelle ztl e ha il garage a casa per fare autorifornimento. Viceversa i possessori di auto Euro 3 sono dei poveri cristi: non sono collezionisti, ma hanno auto antiche perché se le tengono per 10-12 anni e spesso non possono cambiarle».

Il riformismo in che cosa consiste in questi casi?
«Deve migliorare il rapporto tra costi e benefici. L’unica via è l’innovazione tecnologica: bisogna produrre in maniera più pulita e investire sulla ricerca non sui sussidi.

E poi c’è il confronto con la Cina sulle auto elettriche…
«L’Europa dovrebbe prima di tutto rivedere l’obiettivo di bandire le auto a motore entro il 2035. Si ritorni alla neutralità tecnologica. Il motore a scoppio è formidabile: perché eliminarlo? Meglio piuttosto migliorarlo con carburanti più puliti e prestazioni migliori. Un’auto vecchia 15 anni puoi sostituirla con una che consuma un decimo. Altrimenti solo i ricchi potranno cambiare i propri veicoli con le macchine elettriche».

Oggi le riforme incontrano molti ostacoli. I riformisti vogliono una società aperta, ma dall’altra parte c’è chi immagina società chiuse e dice sempre “No”…
«La società del “No” è il frutto di diverse cause: un malinteso ambientalismo, il conservatorismo e l’egoismo territoriale, la ricerca dei 15 minuti di notorietà. Gran parte dei parlamentari del M5s dei tempi del boom avevano acquisito notorietà capeggiando i comitati più stravaganti. Quest’onda per fortuna si sta esaurendo. I casi del Ponte Morandi o della crisi energetica dimostrano che, se vogliamo, sappiamo fare. Ma serve una diagnosi, altrimenti vince la malattia del non fare».

Chi incarna oggi il riformismo che lei ha fin qui tratteggiato?
«Sicuramente si ritrova nell’area dei Calenda, Renzi, Costa e Marattin. Ma il voto europeo ne ha certificato anche il tragico fallimento. La scelta di Renzi di tornare con il campo largo è una resa. Come fai a mettere insieme chi ha fatto il Jobs Act e chi vuole abolirlo? Resiste la contrapposizione tra due poli estremi, ma i democratici seri in America non hanno risposto a Trump con l’estremismo di sinistra. Il bipolarismo delle estreme creerà il deserto: basta vedere di che cosa parlano la Schlein e i suoi collaboratori. La stessa Meloni pensavo avrebbe saputo intercettare il voto del centro (perfino Tajani l’ha trovato), invece niente: Meloni quando fa il capo del governo indovina qualcosa, quando fa il capo partito no».

Il Pd è definitivamente perso alla causa del riformismo?
«Alle elezioni europee i riformisti hanno avuto un certo successo elettorale: basti pensare a figure come Bonaccini, Tinagli, Gori e Nardella. Ricordiamoci però che Bonaccini si è fatto imporre una segretaria che non era neanche iscritta. C’è un masochismo simile a quello di Renzi e Calenda».

Per i riformisti non ci sono ricette semplici…
«Sono diventato adulto politicamente all’epoca di Ciampi e Prodi, quando il debito e la crescita erano centrali. È stato un momento felice del riformismo italiano. Oggi tutti i politici non accettano di non poter spendere. Bisogna rimettere al centro della discussione il debito e la crescita. Apprezzo quello che sta facendo in tal senso Luigi Marattin. Ma mi faccia dire un’ultima cosa».

Prego…
«Servono norme migliori per la cittadinanza e per gli immigrati regolari. I problemi burocratici per le autorizzazioni sono troppi: l’istituto del ricongiungimento familiare aiuta molto l’integrazione. Purtroppo nessuno lavora per favorire l’integrazione, gli immigrati imparano da soli».