Le prime reazioni alla vittoria di Donald Trump lasciano intendere che la sinistra non imparerà la lezione. Al di là dei toni e dei modi, fa notare Chicco Testa, il candidato repubblicano «ha interpretato i bisogni profondi» della maggioranza dell’elettorato e ne ha anche «intercettato l’immaginario». Ma il fronte progressista, piuttosto che fare un bagno di umiltà e di realtà, se l’è presa con gli americani accusandoli di aver votato male. «Ho letto commenti che fanno rabbrividire. Tutte cose che tradiscono una concezione di sé stessi ancora una volta come la parte migliore, i predestinati», afferma il presidente di Assoambiente ed ex deputato del Pci e del Pds. Secondo cui, piuttosto che definirsi popolari, «bisognerebbe provare veramente a mettersi nei panni del popolo». Eppure i progressisti continuano a inseguire la follia della cancel culture e il politicamente corretto. Il risultato? «Una cultura minoritaria che dà l’impronta prevalente». Un loop infinito che alle urne genera sconfitti su sconfitte.

La vittoria di Trump negli Stati Uniti cosa ci dice?
«Ci dice che Trump prima di tutto ha saputo costruire una connessione sentimentale ed emotiva con la maggioranza dell’elettorato. Ne ha interpretato non solo i bisogni profondi ma ha anche intercettato il loro immaginario. E questo è un po’ avvenuto, con poche eccezioni, in tutte le categorie sociali, le differenti etnie e aree geografiche. Guardare la cartina dei risultati elettorali con i democratici schiacciati a Est e a Ovest negli Stati più ricchi degli Usa fa veramente impressione».

Seppur con i suoi modi, una visione di mondo l’ha proposta ed è stata premiata. I democratici sono malati ancora di un clamoroso deficit di proposte alternative concrete.
«La Harris ha dovuto aggiustare in tutta fretta il suo messaggio, cercando di spostarsi al centro su questioni chiave come la sicurezza e l’ambiente. Ma gli elettori hanno la memoria lunga e tutto nel suo “body language”, compreso quel fastidioso tic della risata continua, tradiva una scarsa convinzione, un’assenza di peso e una “soddisfazione di sé” che evidentemente non ha intercettato lo stato di insoddisfazione e insicurezza di gran parte dell’elettorato».

Il ritorno di The Donald alla Casa Bianca è una doccia gelata per i progressisti. Chissà se impareranno finalmente la lezione…
«Ho letto commenti di persone di sinistra che fanno rabbrividire. Trump sarebbe stato votato dagli ignoranti, dai ricchi, dai suprematisti bianchi. Tutte cose per altro non vere ma che tradiscono una concezione di sé stessi ancora una volta come la parte migliore, i predestinati. Questa incapacità di riconoscere l’imperfezione, o quella che viene ritenuta tale, dell’umanità è un handicap pesantissimo. Consiglierei la lettura di uno splendido libro di Cassano, “L’umiltà del male”, in cui l’Inquisitore dice a Gesù: l’applicazione letterale del tuo insegnamento esige uomini perfetti. Ma gli uomini non sono perfetti e amano peccare. E la Chiesa deve stare nel mondo».

La cultura woke è arrivata al capolinea. Affermarlo è un eccesso di ottimismo?
«Non so se è arrivata al capolinea ma certamente è una della cause della sconfitta insieme alla cancel culture. Chiedere a un paese di rinnegare tutta la sua storia, abbattere le statue dei padri fondatori e dei primi presidenti, perché hanno agito in un’epoca completamente diversa, è un vero karakiri emotivo.  Accusare l’Occidente e in particolare gli Usa di essere stati praticamente sempre dalla parte sbagliata della storia, dimenticandone i grandi meriti e anche gli orrori di altre civilizzazioni, significa proporre una resa senza condizioni di fronte alla storia».

Perché quel tipo di sinistra non riesce più a parlare alle classi popolari?
«La sinistra ha sempre avuto una particolare attenzione ai diritti delle minoranze. Ma questo avveniva in un quadro in cui prima di tutto erano chiari i diritti, i modi di pensare e gli interessi delle maggioranze. L’obiettivo era costruire un partito nazionale. I dirigenti dell’epoca non avevano paura di usare il termine “nazione”. Il Pci ha gestito partite complesse – come il divorzio e l’aborto – con forza, ma anche con grande cautela e sapendo che comunque erano vicende laceranti e dolorose. Oggi invece c’è una postura per la quale sembra che le minoranze siano diventate l’unico oggetto di attenzione. Un conto è parlare di aborto capendo che si tratta sempre di una dolorosa necessità, un altro è presentarlo invece solo come un diritto positivo; un conto è difendere le famiglie non tradizionali, ma un altro è dimenticare il desiderio della maggioranza di costruirsi una famiglia tradizionale».

Vero, ma il Pd di Schlein sta dando battaglia anche su salario minimo e sanità.
«Sì, ha messo al centro della sua attenzione questioni materiali importanti, ma il tutto è annegato in una cultura minoritaria che dà l’impronta prevalente. Guardiamo per esempio alla connessione con quella parte del sindacato, la Cgil, che sembra avere completamente dimenticato il significato del lavoro sindacale a favore di un ribellismo senza costrutto. Ho visto la Schlein partecipare allo sciopero di venerdì, il solito venerdì, dei trasporti. Mentre milioni di viaggiatori si aggiravano sperduti nelle stazioni e nelle città».

In fondo l’autoreferenzialità serve a compattare il fronte militante, ma non riesce ad allargare il consenso…
«Ho sentito molte voci levarsi a sinistra a difesa di Raimo, forse anche con qualche ragione, rispetto al provvedimento disciplinare. Ma non era anche il caso di dire a Raimo che un insegnante non può nella vita pubblica esprimersi con un linguaggio così volgare e violento? Può essere questo un modello culturale di una sinistra matura? Secondo lei i genitori degli allievi di Raimo stanno dalla parte sua? Non credo proprio».

Anche la comunicazione è importante. Pensiamo all’impostazione ideologica con cui si affronta il tema della transizione ecologica, percepita come una vessazione insopportabile…
«Certo. La transizione verde, l’ho detto molte volte, per come è stata impostata sembra rivolgersi solo agli abitanti delle ZTL europee: auto elettriche, pompe di calore, agricoltura biologica… Mentre il resto del mondo cresce e pensa alla sua industria (durante l’amministrazione del “verde” Biden, gli Usa sono diventati di gran lunga i primi produttori di gas e petrolio), noi abbiamo gettato nell’incertezza cittadini e settori interi della nostra economia».

A proposito di linguaggi, la sinistra riuscirà mai a liberarsi della zavorra del politicamente corretto?
«Il linguaggio tradisce il pensiero da cui origina. Il politicamente corretto immagina un uomo nuovo educato a certi princìpi, per altro discutibili. Ma perde di vista bisogni profondi, la sicurezza per esempio, con cui occorre fare dei patti. Non viviamo in un mondo in cui conta solo la testa delle persone. Ci sono anche il cuore e le passioni, non tutte positive, e la pancia con tutti gli interessi che esprime. Anziché definirsi “popolari” bisognerebbe provare veramente a mettersi nei panni del popolo».