Imbambolano milioni di persone, promettono felicità e guarigioni miracolose. In realtà sanno offrire sostegno, consolazione, l’inserimento in comunità di conoscenti. Sono le comunità evangeliche. La chiesa cattolica le considera sette religiose. Un po’ le tollera, un po’ le combatte, un po’ le imita nel tentativo di porre fine alla sua emorragia di fedeli.Nelle due Americhe le chiese evangeliche sono un grande potere secolare, concreto e radicato nel territorio. Ricco, influente e con un esercito di militanti gratuiti da utilizzare all’occorrenza.
Un mercato elettorale ghiotto per qualsiasi politico, di qualsiasi partito, abbia intenzione di raccogliere voti.

Sono un interlocutore necessario, a volte un alleato a volte un ostacolo con cui trattare, per i gruppi narcos e per le milizie con cui si disputano il controllo del territorio. I nuovi credenti non cattolici, nel Nord e nel Sud America, episcopali, fedeli di quelle chiese tradizionali che hanno una forte connotazione ufficiale e una più o meno solida struttura gerarchica, sono battisti, metodisti, pentecostali e stanno nel grande calderone degli evangelici. Una realtà profonda e molto vasta. Attraverso la religione forniscono identità, protezione e soprattutto una rete sociale di riferimento.
Fai la manicurista a domicilio?

Vai in chiesa e oltre a dio, speranza e cori di giubilo, trovi anche tante persone nuove che – ti spiega sussurrando il pastore – possono diventare tuoi nuovi clienti. Tuo marito se ne è andato e tu non sai a chi lasciare i bambini quando vai a lavorare? In chiesa troverai ascolto e anche un posto dove portare i tuoi figli a giocare quando non sei a casa.

Carolina Lensadares, 34 anni, vive nella Baixada Fluminense, gigantesco sobborgo popolare alla periferia di Rio de Janeiro. Lavora come baby sitter in una casa ricca di Copacabana. Ha una figlia, un buono stipendio. «Sono una privilegiata rispetto a quelle che conosco che lavorano come me» dice di sé. Da un paio d’anni frequenta la comunità evangelica della strada di casa sua, che fa parte di una delle chiese più potenti di Rio: la Igreja Universal do Reino de Deus (duemila templi, proprietaria di stazioni televisive e radiofoniche).

Racconta Carolina: «Ho un buon lavoro, però mi stanco molto, ci metto tre ore ad andare e due ore a tornare da Copacabana tutti i giorni con il traffico che c’è. Arrivo a casa distrutta. Mi chiedo: cosa avrà fatto tutto il giorno mia figlia tredicenne? Prima ero triste, preoccupata che questa ragazzina stesse sempre da sola o chissà con chi. Ora è diverso. Quando torno vado in chiesa, lei già sta lì, passa lì tutto il pomeriggio dopo la scuola e sono tranquilla perché lì si è fatta degli amici e anch’io lì ho conosciuto gente nuova. Il suo compleanno lo festeggiamo in chiesa, alla festa e alla torta ci pensa la comunità, non io. Prima festeggiavamo a casa da sole, in due. Così è meglio, no? Dio è buono».

In cambio della rete di aiuto che offrono, i pastori evangelici chiedono fede cieca e spesso piccole quantità di denaro, quantità che moltiplicate per il numero totale dei seguaci fanno parecchi milioni di dollari. Proteggono e allo stesso tempo ghettizzano. Creano comunità chiuse. Si alimentano dell’ignoranza e del bisogno di sostegno di persone con pochi mezzi, molto influenzabili.
Laddove riescono ad avere rappresentanza politica (nel parlamento del Brasile, per esempio, sono rappresentatissimi) costituiscono lo zoccolo duro della destra più retrograda.
Una destra popolare, non oligarchica. Oscurantista e anti libertaria. Chiusura totale sulle libertà personali, di quelle femminili non se ne parla nemmeno.
L’unica libertà individuale che contemplano è quella di portare armi. Per il resto è adorazione collettiva di un dio vendicativo, ma festaiolo, da omaggiare con musica, balli e canti. Una religiosità elementare, totalizzante, fatta di mille divieti e tanta militanza.

Hanno un loro welfare le chiese evangeliche, intessuto di ricatti e superstizioni, ma funzionante, in aree dove la presenza dello Stato si manifesta quasi solo con i tank dell’esercito e i fucili da guerra dei battaglioni di élite della polizia. Sono nate come fenomeno religioso negli Stati uniti e poi si sono diffuse a macchia d’olio verso sud. Uno studio della conferenza dei vescovi della Bolivia citato da John Allen, vaticanista del National Catholic Reporter, sostiene che nell’ultimo secolo le conversioni dal cattolicesimo al protestantesimo in America Latina sono state un fenomeno molto più devastante per la chiesa cattolica di quelle avvenute per la Riforma protestante nell’Europa del XVI secolo.

Il caso più vistoso è quello del Brasile dove i cattolici, fino agli anni Settanta, rappresentavano il 90% della popolazione e sono scesi da allora sotto il 60%. Alcuni osservatori pensano che questo fenomeno dipenda almeno in parte dal rigore con cui il Vaticano, sin dal papato di Giovanni Paolo II, ha combattuto la dottrina sociale e politica, marxisteggiante, della Teologia della liberazione.
Leggono il successo degli evangelici come effetto collaterale involontario della guerra a bassa intensità della chiesa cattolica contro quella dottrina sociale: lo spazio lasciato vuoto dai preti della teoria della liberazione che svolgevano un lavoro sociale quotidiano nelle comunità di base sarebbe stato occupato dai pastori evangelici. Altri studiosi e analisti credono semplicemente che le liturgie assembleari degli evangelici, con grande abbondanza di balli e canti, piaccia alla spiritualità popolare latina molto più dei riti consolidati e formali della chiesa cattolica.
Vi è anche una terza interpretazione secondo cui la conquista evangelica dell’America latina risponderebbe a un disegno strategico del cristianesimo nord americano e avverrebbe con il beneplacito di alcuni potentati ecclesiastici degli Stati Uniti. Chissà se c’è qualcosa di fondato in questa ipotesi, ma è vero che vi sono state circostanze in passato nelle quali cui i missionari americani furono percepiti come il braccio spirituale della diplomazia degli Stati Uniti.

È accaduto in Cina tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. È accaduto in Medio Oriente dopo lo stabilirsi di relazioni diplomatiche fra gli Stati Uniti e l’Impero Ottomano nel 1862. Furono missionari americani, per esempio, i fondatori della Università americana di Beirut. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale gli evangelici americani misero gli occhi anche sull’Italia meridionale. Pensavano che la povertà, la disoccupazione e l’analfabetismo offrissero ai loro missionari un terreno fertile. L’operazione produsse risultati assai modesti, ma vi furono momenti in cui il Vaticano fece sapere al governo italiano che la concessione di visti ai pastori protestanti degli Stati Uniti non era gradita oltre Tevere.  Fatto sta che dal Messico in giù, dagli anni Sessanta a oggi, le chiese proliferate nei templi alternativi a quelli cattolici sono arrivati a sommare circa 160 milioni di fedeli.

I dati sono difficilmente verificabili e il quadro è in movimento. Ma se ne trovano ovunque: dall’Argentina ai confini meridionali degli Stati uniti. Il loro numero sarebbe cresciuto di sei volte negli ultimi trent’anni in Ecuador e Colombia, un forte incremento viene registrato anche in Venezuela, Paraguay, Panama. Fra i Paesi del Centro America in cui le chiese alternative hanno più successo c’è il Guatemala. Lì “L’Assemblea di Dio”, forse la più consistente fra le chiese pentecostali centro americane, ha un potere feudale sugli adepti. Essendo un fenomeno sociale, anche l’espansione delle comunità evangeliche dagli Stati uniti verso sud è a doppio senso di circolazione. E quindi, mentre va dal nord verso il sud, torna anche dal sud verso il nord, come fenomeno di ritorno. Viaggia con i flussi degli immigrati latinos verso il sogno americano.

Il cattolicesimo carismatico, per esempio, che imita molto le pratiche delle chiese evangeliche – invocazioni per guarigioni, presunte estasi mistiche ed altre manifestazioni di superstizioni varie – si sta rafforzando negli Stati Uniti dove è tornato sulle rotte della migrazione ispanica. Il numero dei cattolici statunitensi che praticano dottrine carismatiche è raddoppiato negli ultimi venti anni e viene ora stimato intorno a 10 milioni di adulti.

«L’immigrazione sta cambiando la natura dei cattolici in America, rendendo le cerimonie più vivaci, più intense», ha detto tempo fa al Washington Post monsignor Joseph Malagreca, del Comitato nazionale ispanico del rinnovamento carismatico. Si moltiplicano luoghi del genere della parrocchia newyorchese di St.Benedict nel Queens, in un quartiere ad alta presenza di immigrati latinos. La Messa tradizionale in inglese delle 8:30 la domenica, pare vada semideserta, mentre alle 10 quella in spagnolo, con le sue grida, i canti, la musica e l’atmosfera che ricorda le chiese dei neri di Harlem, raccontano sia sempre partecipatissima. In Arizona, terra di confine con il Messico, hanno ormai più Messe in spagnolo che in inglese e molte di esse sono di rigorosa osservanza carismatica.

«C’è un nuovo modo di stare in chiesa che si sta espandendo» ha rilevato lo studioso Luis Lugo, direttore del Pew Forum on Religion & Public Life. «Ci sono molti cattolici che non si sentono abbastanza coinvolti nella Messa tradizionale e preferiscono questo spirito di fiesta nella chiesa cattolica». Ne sanno qualcosa i cattolici perfettini della Chiesa apostolica romana di Rio de Janeiro. Stupefatti ed allarmati dall’espandersi delle chiese evangeliche tra i loro ex fedeli, da una ventina d’anni hanno risposto pan per focaccia: con preti giovani, fichissimi, surfisti, che cantano, ballano, sanno stare sul palco. Delle pop star. E non solo nei quartieri popolari dove sbancano gli evangelici, ma a Ipanema, Leblon, Arpoador: nel fazzoletto di spiagge high class benedette da dio davanti all’oceano. Sono un fenomeno culturale e sociale i preti cattolici fighetti della Rio bianca e ricca stravaccata al sole.