Chissà perché la Meloni salva Davigo

Piercamillo Davigo

Il garantismo è di casa a Palazzo Chigi: chi temeva una stretta sui diritti e sulle garanzie da parte del governo può tirare un sospiro di sollievo. Smentite, dunque, le voci di contrasti sulla giustizia fra il ministro Carlo Nordio, noto per le sue posizioni liberali, e la premier Giorgia Meloni.

Il primo vero banco di prova sul tema del garantismo, in attesa della discussione a settembre sul primo pacchetto di riforme volute dal Guardasigilli, è stato il dossier Piercamillo Davigo. L’ex pm di Mani pulite, condannato lo scorso maggio ad un anno e tre mesi di prigione per rivelazione del segreto d’ufficio, continua infatti ad essere un giudice tributario. Andato in pensione come magistrato ordinario ad ottobre del 2020 dopo aver compiuto i settanta anni, Davigo è rimasto in servizio come giudice tributario dove l’età per il pensionamento è invece fissata a settantacinque.

Nonostante abbia riportato una condanna molto grave per un magistrato, la Presidenza del Consiglio dei ministri, a cui compete per legge l’esercizio dell’azione disciplinare, ad oggi non ha voluto prendere alcuna iniziativa. Il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati tributari, a differenza di quelli ordinari dove la competenza è della Procura generale della Cassazione, è promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri o dal presidente della Commissione tributaria regionale nella cui circoscrizione presta servizio l’incolpato, mediante richiesta al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria. Il Consiglio di Presidenza, quindi, su richiesta dei titolari dell’azione disciplinare, sentito l’incolpato può disporne la sospensione provvisoria dall’incarico e dal compenso fisso anche prima dell’eventuale inizio del procedimento medesimo se possono essere ascritti fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare che, per la loro gravità, siano incompatibili con l’esercizio delle funzioni. La sospensione dall’incarico può essere fino a cinque anni.

Il reato per il quale è stato condannato Davigo, la rivelazione del segreto d’ufficio, non è però fra quelli che prevedono la sospensione obbligatoria ma solo facoltativa. Ed infatti, consultando il portale della giustizia tributaria, il nome di Davigo compare ancora in bella mostra come presidente della 13esima sezione della Corte di giustizia tributaria di primo grado di Milano. Un garantismo che non può non fare piacere.

Davigo, da parte sua, dopo aver per anni affermato che era necessario intervenire nei confronti dei ricorsi, ha presentato appello contro la sentenza di primo grado. Ad assisterlo l’avvocato milanese Davide Steccanella, noto per aver assistito in passato terroristi ed efferati criminali, come Cesare Battisti o Renato Vallanzasca. Il presidente del collegio penale del tribunale di Brescia, Roberto Spanò, era stato molto duro nelle oltre cento pagine di motivazione della sentenza con cui lo scorso maggio lo aveva condannato. Il magistrato era stato contattato nella primavera del 2020 dal pm milanese Paolo Storari che, alla fine dell’anno precedente, aveva interrogato l’avvocato esterno dell’Eni Piero Amara nell’ambito del procedimento Complotto ai danni del colosso petrolifero di San Donato. Durante l’interrogatorio, Amara aveva dichiarato che era giunto il momento di “scoperchiare il vaso di Pandora”, rilevando così l’esistenza di una super loggia massonica, fino a quel momento ignota, denominata Ungheria.

La loggia, composta da magistrati, alti ufficiali delle forze dell’ordine, professionisti, avrebbe avuto lo scopo di aggiustare i processi e pilotare le nomine al Csm. Storari, terminato di verbalizzare Amara, voleva effettuare delle indagini ma sarebbe stato stoppato dai vertici della Procura di Milano. «Mi sono trovato davanti ad un muro di gomma», disse Storari prima di rivolgersi a Davigo. «Alla luce di quanto emerso nel processo viene da ritenere che tra il dottor Storari e il dottor Davigo si sia creato un cortocircuito sinergico reciprocamente fuorviante», aveva allora scritto Spanò, sottolineando che «le modalità quasi carbonare con cui le notizie riservate sono uscite dal perimetro investigativo del dottor Storari, (verbali formato Word, tramite chiavetta Usb, consegna nell’abitazione privata dell’imputato), e le precauzioni adottate in occasione delle disvelamento ai consiglieri – avvenuto nel cortile del Csm lasciando prudenzialmente i telefonini negli uffici – appaiono sintomatiche dello smarrimento di una postura istituzionale». Smarrimento di una postura istituzionale che non ha fatto cambiare idea a Palazzo Chigi.