Io ci metto la faccia, o alternativamente nella declinazione plurale, noi ci mettiamo la faccia. È un modo di dire che negli ultimi tempi è stato frequentemente adottato dai leader politici per trasferire concretezza e autenticità alla loro azione.
A rivitalizzare l’espressione, dandole nuova linfa e una impronta reputazionale più decisa, è stata di recente Giorgia Meloni che l’ha trasformata in una sorta di patente dell’impegno e della responsabilità personali nei confronti dei cittadini.
Il presidente del Consiglio, in particolare, l’ha utilizzata in diverse occasioni e momenti in questo primo anno di governo, soprattutto quando secondo lei c’era la necessità di mostrare plasticamente la presenza dello Stato e la vicinanza delle istituzioni. Ma, al tempo stesso, quell’espressione è servita a Meloni anche per marcare ed enfatizzare una distanza ideale con chi ha governato prima di lei e, da quando è a Palazzo Chigi, per mantenere aperto il varco di una leadership orizzontale.

Sono negli ultimi due mesi, per fare una breve cronistoria, Meloni ha precisato di “metterci la faccia” a Lampedusa, lo scorso 17 settembre, in occasione della visita lampo con il presidente della Commissione Europea compagnia di Ursula von der Leyen o qualche settimana prima, siamo al 31 agosto, dopo aver incontrato a Caivano Don Maurizio Patriciello che dopo i recenti fatti di cronaca e di violenza aveva pubblicamente chiesto al premier di far visita al Parco Verde, area di profondo degrado della cittadina a nord di Napoli. Ma, per la verità, Giorgia Meloni ha ripetutamente fatto ricorso al valore simbolico dell’espressione in più circostanze, dalle conferenze stampa a margine delle riunioni del Consiglio dei Ministri, non ultimo proprio il 7 settembre, o durante gli interventi nelle aule parlamentari, come è accaduto il 21 marzo 2023 in Senato per le comunicazioni in previsione del Consiglio europeo di qualche giorno dopo.

Metterci la faccia è diventata così una sintesi lessicale, assai apprezzata in primis da quelle leadership populiste, perché essa si fa portatrice della distanza valoriale tra quella classe dirigente che mette al centro del suo mandato politico il popolo e le sue rivendicazioni emotive e, al contrario, l’élite che invece se ne infischia. In questo contesto, era inevitabile che l’espressione acquistasse una reputazione e scalasse la classifica del vocabolario quotidiano dei leader.
Solo che inebriati dalla sua apparente efficacia, forse chi l’ha adottata e l’ha utilizza frequentemente non tiene in debita considerazione che l’altra faccia della medaglia del metterci la faccia, sempre e comunque, è l’ammissione di una debolezza della stessa classe dirigente. Perché in tal modo il leader carica sulla sua persona la responsabilità delle soluzioni immediate, anche di quelle che in società complesse esulano dalla sua volontà e potere, e questo soma prima o poi rischia inevitabilmente di schiacciarlo. Così come, l’utilizzo ripetuto e costante di questo francobollo morale può sfociare in una inflazione di senso, in una perdita di valore per l’eccessivo uso, in una formula che può essere vista solo come un’etichetta ipocrita e passare così dall’essere un’affermazione di autenticità a una vuota definizione di facciata.

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Domenico Giordano è spin doctor per Arcadia, agenzia di comunicazione di cui è anche amministratore. Collabora con diverse testate giornalistiche sempre sui temi della comunicazione politica e delle analisi degli insight dei social e della rete. È socio dell’Associazione Italiana di Comunicazione Politica. Quest'anno ha pubblicato "La Regina della Rete, le origini del successo digitale di Giorgia Meloni (Graus Edizioni 2023).