Sandra Milo era bella come una grande nuvola bianca nel cielo azzurro degli anni Sessanta, i primi anni Sessanta, cioè i migliori del secolo scorso, gli anni cantati da Federico Fellini ma anche da Antonio Pietrangeli, Luigi Zampa, Dino Risi. Sandra Milo (Salvatrice Elena Greco) che ci ha lasciato ieri alla bella età di 90 anni, recitò tra gli altri proprio con questi quattro grandi registi, a partire ovviamente da Fellini in “Otto e mezzo” e poi ancora in “Giulietta degli spiriti” e non foss’altro che per il suo rapporto anche sentimentale durato a lungo con il Maestro è destinata a restare nella storia del cinema mondiale.

Un grande amore, quello con il grande regista: «Il primo bacio? In camerino. E svenni». La “musa” di Fellini, dicono tutti i giornali, i siti, le tv: già, “Sandrocchia” fu la principale “idea reale”, se si può dire così, della donna, nel mondo vero e in quello fantastico del regista riminese: fu Carla, la splendida amante di Guido Anselmi, il regista alter ego di Fellini interpretato in “Otto e mezzo” da Mastroianni, lì, donna tra le donne, e che donne, Anouk Aimée, Claudia Cardinale, Rossella Falk. Sandra-Carla irrompe nel film con sensualità non inferiore a quella di Anita Ekberg nel precedente “La dolce vita” e gioca con Mastroianni, si amano, si fa truccare da lui, ed è lei a riempire lo schermo, il grande attore si mette al suo servizio: Sandra-Carla in quel momento è “il” cinema come Anita lo era stata nel trionfale ingresso nella fontana di Trevi.

Così che Sandra Milo fu l’amante d’Italia, un’amante pulita, un po’ contadina un po’ di città, pura e amica. Un’amante nel capolavoro felliniano e nella vita, a metà tra il sogno e la realtà, emblema in questo del doppio registro del Maestro. Perché in effetti Sandra era insieme mito e carne, desiderio e possesso, immagine e sostanza, e in questo emanava lo stesso profumo di una Jean Harlow, di una Rita Hayworth, di una Greta Garbo, anche lei, Sandra, tanto bionda come la spuma del mare a mezzogiorno, grande e bellissima e un tantino lunare come lo era stata un’altra bionda del cinema, Marylin. Il personaggio fece premio sulla qualità dell’attrice che pure non le difettava, e qui bisogna rivedere “Adua e le compagne”, il grande film di Antonio Pietrangeli, e l’apparizione in un dimenticato film francese di Claude Sautet (“Asfalto che scotta”) ma anche “La visita” e ”Fantasmi a Roma”, ancora di Pietrangeli, “Lo scapolo” con Sordi, e “L’ombrellone” di Risi, e naturalmente l’interpretazione in “Vanina Vanini” di Rossellini con il quale lavorò anche nel “Generale Della Rovere”.

Quello che fece dopo non ha grandissimo valore – ci sono un Salvatores, un Avati – fu più testimonianza, la ricordiamo con un ultimo impegno in un film di Sergio Castellitto di un paio d’anni fa, “Il materiale emotivo”. Ma ci fu una seconda vita per lei. Nella seconda parte della sua carriera la funzione che aveva avuto il cinema fu presa dalla televisione, dove Sandra Milo fece tantissimo, si può dire, fino alla fine. Funzionava eccome: perfetta per simboleggiare i burrosi anni Ottanta (anche “politicamente” il suo rapporto con Bettino Craxi lo testimoniava) e ancora signorona sorridente già agée nella tv del nuovo millennio. Aveva successo perché stava
simpatica, e molto, a tutti. Quel suo apparire, e probabilmente essere, una super-donna svampita e straniata ne fece un unicum, ai tempi, e poi copiata da tante, ed era l’immagine di una donna felice, gaudente, sincera, soprattutto ingenua come una bambina – memorabile lo scherzo infame in diretta tv sul figlio Ciro in ospedale in cui cadde con tutte le scarpe –e tutto questo era entrato nel cuore degli italiani, nell’album iconografico di un Paese tutt’altro che insensibile all’iconica bellezza della star del cinema.
E dunque si è tutti un po’ tristi ora che la Sandrocchia se n’è andata. Con Sandra Milo se ne vanno i desideri e i sogni di tutta un’epoca, si spegne per sempre un sorriso del nostro cinema, e il cielo si apre per accogliere una nuvola bionda.