Nome e cognome della madre che ha scelto la strada dell’autodeterminazione e della libertà femminile. Al cimitero Flaminio su una croce, tra le tante, c’è scritto il nome della donna che ha deciso di interrompere la gravidanza: un atto di accusa pubblica, senza che la diretta interessata fosse a conoscenza di quel cimitero di feti che sorge a Roma nord e che ha fatto indignare lo scorso ottobre tante donne e cittadini.

Le numerose donne che hanno letto i loro nomi su croci bianche, che indicano la sepoltura dei corpicini, hanno deciso di avviare un’azione legale contro Ama, Asl Roma 1 e l’Ospedale San Giovanni Addolorata. Come riporta Repubblica, una protagonista della triste vicenda, Francesca T., insieme ai Radicali Italiani, ha promosso un’azione popolare che ieri è finita davanti al tribunale di Roma: “Il Comune avrebbe potuto presentarsi per sostituire i promotori dell’azione (candidati al consiglio comunale) e gli avvocati Giulia Crivellini e Francesco Mingiardi che hanno presentato l’azione a nome di tutta la comunità – dicono i Radicali – Tuttavia la sindaca Virginia Raggi, in rappresentanza del Comune, non si è presentata in tribunale“.
Secondo gli atti, la Asl Roma 1 avrebbe autorizzato il trasferimento, mentre l’Ama ha materialmente proceduto alla sepoltura apponendo una croce su cui sono riportati i dati personali della donna che ha deciso di interrompere la gravidanza.

Secondo gli avvocati Crivellini e Mangiardi, il giudice si è riservato di decidere se dedicare un’apposita udienza per verificare le intenzioni del Comune in merito alla partecipazione diretta. “In ogni caso, se chiamati a farlo dal silenzio della sindaca, andremo avanti per far accettare i gravi profili di illegittimità culminati nella crocifissione di centinaia di donne e il diritto della comunità cittadina ad ottenere un risarcimento“, affermano i due legali.

La sepoltura

A regolare la sepoltura del feto è una vecchia legge di epoca fascista, secondo cui chiunque si sottopone a un aborto terapeutico ha la possibilità di chiedere all’ospedale di avviare questa procedura. Ma questa modalità non prevede che sia riportato il nome della donna che ha deciso di interrompere la gravidanza. Per questo l’Autorità garante della Privacy ha aperto un’istruttoria per cui si ipotizzano i reati sulla diffusione dei dati personali.

 

 

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