Esteri
Cina, dopo Tienanmen è il turno di Hong Kong?
Che paradosso! La Cina, il Paese che sta provando a schiacciare nel sangue la spinta democratica dei cittadini di Hong Kong, il Paese dal quale è partito il virus e che non ha informato per tempo gli altri stati e nemmeno i propri cittadini, pare diventare uno degli esempi da seguire per molti in Italia. Un pericolosissimo paradosso, perché oggi le fragili libertà che abbiamo conquistato a caro prezzo sono messe a dura prova da un ritorno di fiamma per regimi totalitari, come la Cina e la Russia. Chi auspica il modello cinese pare non prendere in alcuna considerazione il fatto che parliamo di una dittatura che ha inscritto il nome del proprio Presidente nella costituzione, dello stato che utilizza la pena di morte e la repressione (o la sparizione) dei dissidenti come regola, del regime che opprime in campi di rieducazione decine di migliaia di Uiguri e che ha distrutto il Tibet occupandolo illegalmente con le armi. Un regime che ha represso con ferocia, nel sangue di oltre 10.000 morti, le rivendicazioni nonviolente di Piazza Tienanmen.
Oggi la Cina prosegue la sua opera di repressione, di propaganda e disinformazione: con una legge sulla sicurezza nazionale cinese, scritta su misura contro Hong Kong, verranno vietate tutte le attività considerate secessioniste o volte a rovesciare il potere costituito. La repressione si aggrava e cresce, con almeno 180 arresti e violenze inaudite contro chi è sceso in piazza pacificamente.
Dentro i propri confini continua l’eliminazione violenta del dissenso: il 19 aprile sono scomparsi tre attivisti, Chen Mei, Cai Wei e la sua ragazza Tang, che hanno avuto la “terribile colpa” di rendere pubblici articoli censurati dal regime in merito alla gestione non trasparente dell’epidemia. Sono solo tre esempi di una lista infinita di sparizioni e incarcerazioni arbitrarie: giornalisti scomparsi da mesi, come Chen Qiushi e Fang Bin, avvocati per i diritti umani, come Wang Quanzhang, arrestato insieme ad altri 200, considerati oppositori politici, e rilasciato dopo oltre cinque anni di carcere con l’accusa di “tentata sovversione del potere statale”.
No! Il regime cinese non è un modello o un esempio da seguire. E’, al contrario, uno dei pericoli maggiori del nostro tempo per chi auspica un rafforzamento delle libertà, delle democrazie liberali e dello stato di diritto, per chi vuole una giustizia degna di questo nome e una informazione libera. Noi, che da decenni lottiamo denunciando anche le mancanze della democrazia italiana e delle democrazie europee, nonché dell’Europa stessa, saremo sempre dalla parte opposta rispetto a chi auspica che quel modello debba affermarsi nel nostro Paese.
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