Si sono stretti le mani le mani per dieci minuti a favore di fotografi e giornalisti. Poi si sono seduti a un grande tavolo e hanno parlato con tono grave e formale come due statisti decisi a risolvere insieme un grave problema. Ma era una simulazione teatrale perché soltanto uno è un capo di Stato mentre l’altro è un ex presidente di Taiwan, tornato dal 2016 a vita privata.
Il primo è Xi Jinping, Segretario del Partito comunista cinese l’altro Ma Ying-jeou già presidente di Taiwan, privato cittadino. Mentresi svolgeva a Pechino questa curiosa cerimonia, a Taiwan migliaia di cittadini sono scesi nelle piazze manifestando contro l’iniziativa dell’ex presidente il quale senza alcun mandato, ha accettato di mettere in scena la parte del buon politico taiwanese che va da Xi Jinping per recitare il tanto agognato minuetto delle due Cine. Ieri, quella che si è svolta davanti ad una folla di fotografi e giornalisti di partito, è stata una pura invenzione teatrale, non facile da interpretare.
La simulazione teatrale
Si sono stretti le mani le mani per dieci minuti a favore di fotografi e giornalisti. Poi si sono seduti a un grande tavolo e hanno parlato con tono grave e formale come due statisti decisi a risolvere insieme un grave problema. Ma era una simulazione teatrale perché soltanto uno è un capo di Stato mentre l’altro è un ex presidente di Taiwan, tornato dal 2016 a vita privata. Il primo è Xi Jinping, Segretario del Partito comunista cinese l’altro Ma Ying-jeou già presidente di Taiwan, privato cittadino. Mentre si svolgeva a Pechino questa curiosa cerimonia, a Taiwan migliaia di cittadini sono scesi nelle piazze manifestando contro l’iniziativa dell’ex presidente il quale senza alcun mandato, ha accettato di mettere in scena la parte del buon politico taiwanese che va da Xi Jinping per recitare il tanto agognato minuetto delle due Cine. Ieri, quella che si è svolta davanti ad una folla di fotografi e giornalisti di partito, è stata una pura invenzione teatrale, non facile da interpretare. L’unica spiegazione è che si tratti di una forma contorta di minaccia travestita dai costumi dell’armonia. La minaccia sta nel fatto che la Cina e in particolare il suo Presidente Xi con l’ala nazionalista del diviso partito comunista, odiano e temono il nuovo presidente di Taiwan eletto dopo le ultime elezioni. Deve ancora assumere la carica, si chiama Lai Chin-te ed è l’espressione del nuovo spirito indipendentista taiwanese drasticamente contrario a qualsiasi trattativa di integrazione con la Cina continentale, per graduale che sia.
L’indifferenza dell’Occidente
L’ex presidente volato a recitare con Xi Jinping la simulazione di un accordo benché non avesse alcun mandato per farlo è stato realmente per otto anni a Taipei l’uomo dell’apertura alla Cina dal 2008 al 2016 durante i quali ha cercato di trovare la soluzione di una crisi che si trascina da ottanta anni, con un piano di ricongiungimento quasi indolore tra le cosiddette “due Cine”. Secondo quel piano, che fallì perché Ma perse le successive elezioni, le due entità – Cina e Taiwan – avrebbero dovuto come primo atto dichiarare davanti al mondo e alle Nazioni Unite, che esiste una sola Cina, sia pure con due diverse tradizioni, ma un unico grande Paese. Da quando Ma lasciò il potere a Taipei, la corrente taiwanese favorevole al dialogo e poi all’integrazione con la Cina si è assottigliata fin quasi a scomparire a causa di quel che è accaduto negli ultimi anni ad Hong Kong dove la più soffocante repressione poliziesca cinese ha ridotto al silenzio la silenziosa rivoluzione “degli ombrelli”, che si esprimeva appunto con gli ombrelli aperti. Decine di migliaia di studenti di Hong Kong – cui era stato assicurato uno status indipendente con la libertà di viaggiare e manifestare opinioni – furono rastrellati di notte dalla polizia segreta e trasferiti in campi di rieducazione. L’ex colonia britannica tornata alla Cina nel 1998 insieme all’ex colonia portoghese di Macao, era stata illusa da Pechino sul rispetto delle libertà fondamentali cui i cinesi di Hong Kong erano abituati alla maniera occidentale. Tutto avvenne peraltro nella totale indifferenza dell’Occidente, con la tiepida eccezione del Regno Unito con cui la Cina aveva preso impegni molto generici. Anche la Chiesa cattolica si è adattata alle richieste di Pechino nominando un vescovo gradito a Xi Jinping. Tutto ciò ha fatto un pessimo effetto sui taiwanesi, i quali da oltre due secoli non hanno avuto rapporti con la Cina continentale essendo stata Taiwan prima una colonia portoghese, poi giapponese e infine il rifugio del generale nazionalista Chang Kai-shek.
La campagna cinese
Inoltre, negli ultimi dieci anni Taiwan ha scoperto di essere il paese più ricco di “terre rare”, i minerali indispensabili per l’elettronica a partire dai cellulari. Il governo di Taipei ha fatto trasferire negli Stati Uniti le più importanti industrie che lavorano questi minerali, come precauzione contro una improbabile annessione. La risposta di Xi Jinping è consistita in nuove e molto minacciose esercitazioni militari e la prospettiva di ritorsioni economiche. Infine, come estremo antidoto all’opzione militare la Cina sta tentando una campagna di seduzione simbolica, come quella della lunghissima stretta di mano e irrilevanti ma lunghi colloqui con un ex presidente di Taiwan, oggi privato cittadino.