Il peschereccio rovesciato al largo della Grecia, con il suo carico di disperazione, speranza e infine morte, era partito dalla Cirenaica, la regione orientale della Libia che ad oggi resta uno dei punti interrogativi del Nord Africa. Controllata dal maresciallo Khalifa Haftar, comandante dell’Esercito nazionale libico, la Cirenaica si è trasformata in una base di partenza per decine di migliaia di migranti.

Secondo i dati del Viminale, delle circa 20mila persone giunte in Italia nel 2023, la metà proveniva dalla parte orientale della Libia, confermando una tendenza osservata già negli ultimi due anni. Non a caso, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva voluto incontrare proprio Haftar per individuare dei canali di dialogo con cui non solo risolvere l’endemica crisi politica libica, ma anche provare a frenare le organizzazioni dei trafficanti e le partenze. Missione difficile per diversi fattori.

In primis perché nel delicato e caotico contesto libico parlare con il generale di Bengasi significa in qualche modo riconoscergli un ruolo che formalmente né l’Italia né la comunità internazionale riconoscono, avendo come unico referente il governo di unità nazionale di Tripoli. Inoltre, molti osservatori sottolineano che parlare con Haftar significa rivolgersi a una persona che, nel corso della guerra in Libia, ha mostrato forti legami con la Russia, in particolar modo con il gruppo di mercenari della Wagner.

Da tempo gli Stati Uniti stanno cercando di convincere l’uomo forte della Cirenaica ad abbandonare l’asse con i contractors di Yevgeny Prigozhin. Ma sembra difficile al momento trovare argomentazioni tali da sbloccare l’impasse senza riconoscere ad Haftar un ruolo che né i libici né i Paesi occidentali vogliono assegnargli. I dubbi dividono osservatori e interpreti della politica internazionale. Ma è altrettanto chiaro che, se le partenze aumentano proprio dalla Cirenaica, chi controlla le sue coste diventa necessariamente un interlocutore.

Soprattutto se è considerato indispensabile per risolvere un problema che rischia di aumentare nella sua portata. La conferma è arrivata proprio nei primi giorni di giugno, quando è giunta la notizia che unità alleate di Haftar hanno arrestato ed espulso migliaia di migranti giunti a Tobruk e Musaid e che erano nascosti dalle organizzazioni criminali mentre queste si preparavano a far partire i barconi verso l’Europa. Le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme sulle detenzioni arbitrarie e sul rispetto dei diritti delle persone giunte in Cirenaica e arrestate dalle milizie legate all’esercito nazionale libico.

Ma sembra difficile credere che i richiami al diritto da parte dell’Onu possano avere un effetto concreto mentre le autorità locali vivono in un sistema di anarchia politica e militare e dove imperversano interessi criminali spesso fortemente legati anche a chi gestisce il territorio. Inoltre, a preoccupare è anche quello che avviene al di là dei confini della parte orientale della Libia. Se infatti molti migranti cercano di prendere la via dell’Europa attraversando prima l’Egitto e poi la frontiera con la Cirenaica, tanti giungono da sud, e cioè da Paesi come il Sudan, in piena guerra civile, e dal Ciad, in cui sono arrivate decine di migliaia di sudanesi in fuga dalla guerra e dove ora la stagione delle piogge, come dichiarato da Medici senza frontiere, rischia di aggravare definitivamente la crisi umanitaria.

In queste condizioni, la presenza della Wagner, delle organizzazioni criminali che si dedicano alla tratta di esseri umani, e gli interessi divergenti di varie potenze regionali e internazionali, rischiano di comporre una miscela esplosiva che non può che ripercuotersi su tutta la parte orientale della Libia. Alimentando così le partenze verso l’Europa. Un insieme di fattori che unito all’arrivo dell’estate, e quindi a condizioni più favorevoli per navigare, rischia di trasformare tragedie come quella al largo di Pylos in una drammatica costante di tutto il Mediterraneo.