Citysolar, cosa sono e come funzionano i pannelli di nuova generazione del Cnr

A differenza di quello che molti pensano, la ricotta non è un formaggio. È sempre un derivato del latte, come lo yogurt, ma non è un formaggio. Se si prende il latte, ci si mette il caglio, si mescola e si aspetta un po’, sul fondo del contenitore precipiterà una poltiglia bianca, la cagliata, da cui si ricavano appunto i formaggi. Il liquido opalescente che rimane dopo l’estrazione della cagliata è il siero.

Apparentemente, dal siero è stato spremuto tutto quello che poteva dare e quindi è un prodotto di scarto: aggiungendo altro caglio non si ottiene più niente. Eppure, nel siero sono ancora presenti le proteine più nobili che il latte contiene (prova ne sia che il latte materno ne è molto ricco), anzi le proteine più nobili tra tutte quelle contenute in qualunque alimento. Riscaldando il siero e inacidendolo, ad esempio con succo di limone, ecco che le proteine residue affiorano fornendo la materia per la ricotta. Morale: la parte inutilizzata che non sembrava contenere nulla di buono, a volte invece nasconde risorse insospettate. Una cosa simile si verifica con la luce.

Le goccioline d’acqua sospese in cielo dopo una pioggia scompongono la luce del sole nei suoi ingredienti, i sette colori che formano le bande dell’arcobaleno, dal rosso, al violetto. Almeno questo è ciò che vediamo. In realtà ci sarebbero altri colori che la retina del nostro occhio non è in grado di percepire. Gli scienziati (non dando prova di grande originalità) hanno battezzato questi colori invisibili, che si trovano, rispettivamente, al di sotto della banda rossa dell’arcobaleno e al di sopra di quella violetta… Infrarosso e Ultravioletto. Un po’ come gli antichi Romani che, quando arrivavano al confine delle terre conosciute in Africa, designavano il territorio ancora inesplorato con l’espressione “hic sunt leones”, senza ulteriore specificazione. Dei raggi ultravioletti, pur non vedendoli, conosciamo le conseguenze. Sono quelli a cui si deve la tintarella, perché stimolano la secrezione del pigmento chiamato melanina, che protegge la pelle dall’esposizione a queste radiazioni nocive. I raggi infrarossi sono emanati dai corpi caldi e quindi, naturalmente, anche dal sole.

Noi consideriamo opaco un corpo quando non fa passare la luce, ovvero nessuno dei sette colori dell’iride. Perché per noi la luce è questo, la miscela dei sette colori dell’iride. Molti insetti dissentirebbero. Loro vedono bene i raggi ultravioletti e sono perfettamente in grado di distinguere le forme degli oggetti quando l’ambiente è illuminato di soli raggi ultravioletti, mentre a noi apparirebbe completamente buio. Perché questa differenza? Dipende dal meccanismo della visione. “Vedere” significa “catturare” i raggi luminosi con la parte sensibile dell’occhio e convertirli in un segnale elettrico che – attraverso il nervo ottico – arriva alla zona del cervello preposta alla visione.

L’effetto che percepiamo in quell’istante è di luminosità. Inoltre, se i raggi che stiamo osservando corrispondono a quelli che formano la banda inferiore dell’arcobaleno, noi gli associamo la sensazione del rosso; se invece corrispondono a quelli che formano la banda intermedia dell’arcobaleno, associamo la sensazione del verde; se alla banda superiore, la sensazione del violetto, e così via. L’occhio umano non ha però la capacità di convertire in una sensazione percettibile i raggi ultravioletti (né quelli infrarossi), che quindi ci risultano invisibili. Alcuni insetti alati invece sì, e quindi li vedono. Non sappiamo esattamente come li vedano, ma sappiamo che li vedono. In una stanza oscura, con solo una sorgente di raggi ultravioletti, molti insetti volano tranquillamente evitando gli ostacoli.

I pannelli fotovoltaici attualmente installati sono più simili a noi, che agli insetti. Quindi, in un certo senso, sono in competizione con noi: se ci mettiamo dietro un pannello fotovoltaico, la luce se la prende tutta lui e noi restiamo in ombra. Perciò se sostituissimo i vetri delle finestre con pannelli fotovoltaici, la stanza rimarrebbe al buio. Eppure sarebbe molto comodo avere delle finestre che funzionano da pannelli fotovoltaici e che producono energia elettrica. Ecco quindi l’idea: apporre ai vetri della finestra membrane fotovoltaiche capaci di assorbire i raggi ultravioletti e quelli infrarossi, lasciando invece passare indisturbata la luce visibile. Il risultato? Non ci accorgeremmo neanche della loro presenza. Per quel che ci riguarda non è cambiato niente. Al più sarebbero gli insetti a protestare… Una soluzione tecnologica di questo tipo sarebbe utile per ridurre le emissioni di anidride carbonica, il principale dei gas serra che alterano il clima del pianeta, fornendo energia elettrica alle case.

Adesso un progetto di questo tipo esiste. Si chiama Citysolar. È finanziato dall’Unione europea e coordinato da un italiano, il professor Aldo Di Carlo, direttore dell’Istituto di Struttura della Materia del Consiglio Nazionale delle Ricerche. L’Italia vanta una storia gloriosa nel campo della generazione di energia da fonte rinnovabile. Nel 1904 il principe Ginori, genio visionario, accese cinque lampadine inventate una ventina di anni prima da Edison utilizzando un prototipo di impianto geotermico da lui ideato. Elettricità dal calore della terra. Poi gli impianti idroelettrici che, all’indomani della seconda guerra mondiale, fornivano energia (pulita) per lo sforzo di ricostruzione del Paese.

Ancora oggi l’Italia è tra i maggiori produttori di energia rinnovabile grazie a questa eredità. E non è stata da meno nel comparto fotovoltaico: nel 2012 siamo stati i primi al mondo per potenza fotovoltaica installata (e non in proporzione alla popolazione, ma proprio in senso assoluto)! Sarebbe bello riprenderci questo onorevolissimo primato. La situazione oggi sembra favorevole a questo scopo. Quello che fino a qualche giorno fa era il Ministero dell’Ambiente, nel nuovo governo è diventato Ministero della Transizione ecologica. Dicitura forse più impegnativa, perché descrive, più che uno stato di cose, un obiettivo da raggiungere. E la transizione ecologica può avere molti aspetti, quello economico, politico, sociale, però il principale non può che essere tecnologico.

Conversione dei processi industriali, delle modalità di trasporto, delle abitudini individuali e collettive, ma soprattutto della produzione di energia. Sì, perché l’energia è l’entità da cui tutto discende, è la madre di tutte le attività, il presupposto di ogni possibile sviluppo. Non si muove foglia, che Dio non voglia. Ma quando decide di muoverla, ha stabilito che occorra dell’energia… Qualunque contributo alla produzione di nuova energia pulita è un passo verso l’obbiettivo principale e indifferibile, la decarbonizzazione completa entro il 2050.