L’ex ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, anticipa al Riformista gli argomenti con cui oggi a Roma prenderà il via il primo incontro pubblico sul riavvio del programma nucleare italiano.

Il nucleare potrebbe finalmente tornare in Italia?
«Iniziai a lavorare sul nucleare 35 anni fa, chiamato da Giorgio Ruffolo a fare il direttore generale del Ministero per l’Ambiente. E dovetti lavorare alle conseguenze del referendum che bandiva anche la ricerca dal nostro Paese. Quel referendum fu il primo segnale che la politica iniziava a rimuovere le sue responsabilità. Ad abdicare al suo ruolo. Poi è successo anche per altre cose. Invece di aiutare la popolazione a capire di cosa si trattava, la politica ha deciso di assecondare il sentimento della pancia – sospinta dalla paura per Chernobyl – e ha rinunciato ad eccellenze tecnologiche italiane sulle quali noi avevamo competenze di primissimo livello».

E oggi?
«Abbiamo ancora competenze importanti che si sono consolidate soprattutto attraverso collaborazioni internazionali. Abbiamo bisogno di fare due operazioni oggi in Italia. La prima è: darci un’organizzazione. Una struttura, o meglio una infrastruttura per la gestione dell’energia nucleare che richiede competenze, personale, investimenti. Non abbiamo solo bisogno di investire per costruire centrali, abbiamo bisogno di ricreare quella capacità eccezionale a cui abbiamo rinunciato».

Anche perché la ricerca è andata molto avanti. Il nucleare di oggi non ha nulla a che vedere con quello degli anni Ottanta.
«Assolutamente sì. Uno dei problemi che abbiamo di fronte all’ipotesi di ripresa del nucleare è di essere affidabili nella gestione. Avere queste competenze non significa solo gestire un reattore ma governare lo sviluppo dell’ambiente, delle tecnologie… è un lavoro che va fatto».

Come si può organizzare la ripresa della ricerca sul nucleare?
«Abbiamo bisogno di dare una grande forza, in termini di capacità operative e di competenze a Enea, che è ancora il depositario di gran parte delle nostre conoscenze e delle nostre capacità. E per farlo dobbiamo riaprire le scuole per la gestione del nucleare e per la gestione del rischio. Questa operazione richiederà tempo, ma oggi ha bisogno di decisioni chiare e di costanza nella realizzazione del programma, nel tempo. La vogliamo, la decidiamo e la facciamo».

La politica, la maggioranza, il governo sono di questo avviso?
«Mi sembra di sì. Perché la decisione di promuovere una newco con la partecipazione di tre imprese pubbliche, Ansaldo, Enel e Leonardo, e l’indicazione che è stata data dal ministro Pichetto per rimettere in piedi un programma sulla ripresa del nucleare mi sembrano segnali importanti. Ed è importante partire con la newco perché questa consente di concentrare in un progetto industriale non solo risorse finanziarie ma anche competenze finalizzate a questo scopo».

C’è un investimento Pnrr importante?
«Non vedo un problema di fondi, ma di organizzazione del lavoro. Perché lo sviluppo delle tecnologie oggi sta correndo, c’è lo sviluppo dei nuovi mini reattori, che sembra essere uno degli obiettivi prioritari del governo, ma anche la nuova tecnologia posta a garanzia della maggior sicurezza dei reattori di terza generazione. E va presa sul serio la ricerca sui reattori di quarta generazione».

Il gas russo non c’è più, il petrolio non potrà esserci sempre. Ed inquina. Ricorrere all’energia nucleare è quasi una strada obbligata.
«Fin dall’inizio della discussione sui cambiamenti climatici, quando facemmo la prima riunione in Svezia nel 1990, abbiamo certificato che il nucleare è il migliore strumento per la decarbonizzazione. L’unica fonte – a differenza delle rinnovabili, che sono intermittenti – davvero pulita e costantemente disponibile. Il nucleare non produce anidride carbonica, il tabù deve essere superato una volta per tutte. Di questo parleremo nell’incontro pubblico che si tiene a Roma oggi».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.