Ciò che molti temevano si è puntualmente verificato. Vincenzo De Luca ha fatto sapere di aver chiesto al governo Conte l’ok a un secondo lockdown nazionale e che, in mancanza di una rapida decisione in tal senso, sarà lui a ordinare lo stop di qualsiasi attività in Campania. «Non voglio vedere camion militari che trasportano bare», ha detto il governatore dopo aver sottolineato la necessità di «decisioni forti, definitive ed efficaci» contro il Covid. L’ultimo bollettino, in effetti, parla di quasi 2.300 nuovi contagi a fronte di poco meno di 16mila tamponi: numeri che sembrano giustificare misure draconiane ma che, nello stesso tempo, celano il fallimento della strategia di contrasto della pandemia adottata in Campania.

Punto primo, i tamponi. Finora la nostra regione è tra quelle che ne hanno effettuati di meno, se non proprio il fanalino di coda in Italia. Così si spiega il contenuto numero di positivi e di vittime registrato durante la prima ondata di Covid, che De Luca ha puntualmente magnificato nel suo consueto monologo del venerdì. Ora all’aumento dei test corrisponde la crescita dei contagi e, per ammissione dello stesso De Luca, l’incremento è così rapido da far saltare ogni sistema di tracciamento. È mancata, dunque, una strategia di aggressione del virus quando la progressione dei contagi lo consentiva, cioè nel corso dell’estate, in modo tale da individuare e spegnere i focolai sul nascere. Non l’ha fatto De Luca, che ha implementato i test solo per i campani di rientro dalle vacanze e sul personale scolastico, e non l’ha fatto il governo Conte, che ha ignorato il piano presentato dal biologo Andrea Crisanti per tenere basso il livello dei contagi.

Punto secondo, le terapie intensive. Dati alla mano, la Campania è ancora la regione con meno posti letto: solo 7.3 ogni 100mila abitanti a fronte dei quasi 17 a disposizione in Veneto. Ecco, il Veneto. La Regione guidata da Luca Zaia esegue mediamente 30mila tamponi al giorno, ha stilato un piano in cinque fasi basato sul numero di pazienti in terapia intensiva, ha raddoppiato i posti letto portandoli da 494 a mille ed è pronta ad aprire dieci ospedali Covid. Di tutto ciò non c’è traccia nella nostra regione dove, anche a causa di dieci anni di commissariamento, alla sanità mancano all’appello quasi 16mila tra medici, infermieri e amministrativi. Un piano straordinario di assunzioni per fronteggiare l’emergenza? Nemmeno a parlarne. A tutto ciò si aggiungono la fallimentare riorganizzazione di trasporti, scuole e attività economiche.

Ora De Luca, che un mese fa si diceva certo del fatto che la situazione epidemiologica in Campania sarebbe tornata alla normalità nel giro di una settimana, annuncia lo stop di tutte le attività – eccezion fatta per industria, agroalimentare, agricoltura, edilizia e trasporti – per 30 o 40 giorni. In altre parole, se finora si è navigato a vista tanto a Palazzo Chigi quanto a Palazzo Santa Lucia, adesso è giunto il momento delle misure drastiche. Cambierà qualcosa? È difficile prevederlo. Ma almeno bisognerebbe prendere atto del fatto che la strategia del terrore adottata da De Luca si è rivelata disastrosa. Minacce e polemiche, invettive contro governatori del Nord e ministri, hanno alimentato il caos creato dalla mancanza di un coordinamento a livello nazionale e dal dilagare della politica fai da te: un fallimento gravissimo che avrà conseguenze tragiche per milioni di persone dal punto di vista non solo sanitario, ma anche economico e psicologico.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.