Coldplay, la magia dell’inclusione e dell’ecosostenibilità

«Mettete via i telefoni, proviamo questa canzone un’altra volta: senza foto, senza cellulari, senza niente». Mentre San Siro si prepara ad esplodere letteralmente col ritornello di ‘Sky full of stars’, Chris Martin sorprende tutti: ferma la musica, ferma la band, ferma il pubblico. E chiede ai 56mila rimasti muti, di concentrarsi per una volta solo sulla canzone, sulla musica, sull’amore da trasmettere, tra gli altri, anche all’Ucraina e all’Emilia-Romagna. È uno dei momenti topici dell’esibizione dei Coldplay a Milano, per quello che definire un “concerto” sarebbe riduttivo. Martin guida la sua band con un’energia travolgente e colpi di scena inattesi, come l’apparizione di Zucchero; e sottolineando il proprio impegno sui grandi temi globali: cambiamenti climatici, inclusione sociale, diritti civili.

Lo fa con stile e concretezza, fornendo un esempio di cosa significa praticare – e non solo enunciare – la sostenibilità. I Coldplay offrono un evento irripetibile, non a caso definito dal prestigioso ‘The Times’ come «il più grande spettacolo musicale dal vivo di sempre». Laser, fuochi d’artificio sul tetto dello stadio, fiammate sul palco, palloni volanti a forma di pianeti, realtà aumentata e ogni sorta di effetto speciale, compresi gli ormai famosi braccialetti luminosi (realizzati con materiale da recupero) che cambiano colore a seconda della volontà della regia.

Tutto, però, a impatto zero. Alcuni esempi: la ‘gara’ tra le diverse città che ospitano il tour mondiale sulla migliore performance di restituzione dei bracciali riciclabili (per ora Milano supera Napoli di un punto, 83 contro 82% di riconsegna). L’energia che serve ad alimentare gli impianti proviene da fonti rinnovabili: solare, eolico e le ‘power bike’ che alimentano alcune batterie con le pedalate del pubblico che decide di salire in sella o la forza prodotta dalle decine di giovani che salgono sulle pedane cinetiche che trasforma balli, salti e canti in energia per il concerto. E poi la scelta di destinare parte dei proventi dei biglietti a sostegno di progetti per la ripopolazione degli oceani, riforestazione, contrasto alle emissioni nocive, sostegno a progetti speciali.

Buone intenzioni, messe in pratica. Come quella di favorire l’inclusione, attuando un’altra novità: offrire ad ogni tappa del tour mondiale interpreti della lingua dei segni e ‘zaini sonori’ per gli spettatori non udenti e ipoudenti. Perché la musica deve unire, includere e contrastare le discriminazioni: lo ha simbolicamente ricordato lo stesso Martin sventolando la bandiera arcobaleno dei diritti Lgbtq+ cantando ‘People of the Pride’.

Ogni cosa di questo evento sorprende, affascina e lascia un segno. La scaletta si divide in quattro tempi: il meno coinvolgente è il terzo, dedicato prevalentemente ai brani recentissimi. Ma gli altri vedono alternarsi pezzi immortali, anche dei primi anni della band, che strappano più di una lacrima al pubblico: tra questi ‘The Scientist’, ‘Yellow’, ‘In my place’ e ‘Fix you’.

E poi l’adrenalina pura scaricata da ‘Viva la Vida’, ‘Higher Power’, ‘Adventure of a Lifetime’ che anticipano il colpo di scena prima del gran finale: nel terzo palco, quello più intimo e che ricorda i primi tempi dei 25 anni di carriera, i Coldplay suonano e cantano stretti l’uno con l’altro, senza effetti speciali, come fossero in un pub della provincia inglese; dopo una manciata di canzoni Martin si interrompe: «No, questa è troppo difficile perché la canti io in Italiano». E chiama sul palco un uomo: nessuno lo riconosce sulle prime.

Poi le telecamere lo inquadrano: lo stadio vede che è Zucchero e va in visibilio. I quattro elementi accompagnano Fornaciari in una versione di ‘Diamante’ da brividi: chi ha avuto la fortuna di esserci potrà dire «io c’ero». Martin scherza e intona ‘O mia bela madunina’ e lascia, quindi, l’onore del palco a Zucchero per cantare ‘Hey man’, solo voce e chitarra. È il degno tributo non solo a un grande artista italiano; ma anche al legame forte e profondo tra i Coldplay e un pubblico che in Italia, come abbiamo visto a Napoli e Milano, è davvero trasversale a tutte le generazioni.