Il rafforzamento della supervisione sull’economia digitale
Colossi del web, la stretta cinese stavolta è giusta
Il 31 agosto u.s. l’agenzia ufficiale cinese Xinhua ha diffuso una nota, nella quale si dava conto della volontà del Partito comunista di rafforzare la supervisione sull’economia digitale, sull’innovazione tecnologica e sulla protezione dei dati, intensificando le misure antitrust, quale ultimo segnale di nuove strette soprattutto sui colossi tecnologici. Questa presa di posizione non ha rappresentato una novità, facendo seguito a una attività, sempre più incisiva, di regolamentazione dei colossi del settore hi-tech, che si protrae da un anno e che ha avuto un avvio clamoroso con la “sparizione” per alcuni mesi di Jack Ma, fondatore del colosso Alibaba.
Alla metà di settembre, dando seguito alle indicazioni date con la nota diramata pochi giorni prima, il Governo cinese ha disposto uno smembramento del gruppo Ant, gigante cinese dei pagamenti online nato da una costola di Alibaba, e, soprattutto, ha stabilito che i dati degli utenti siano allocati in una jointventure, nella quale lo stato avrà una quota di capitale rilevante. Si assiste, perciò, in questi giorni a una brusca sterzata della politica economica cinese, che ha a lungo accettato che i propri colossi tecnologici si sviluppassero secondo il modello di business della Silicon Valley. Si è, così, verificata anche in Cina una crescita tumultuosa e inarrestabile di un settore, quello hi-tech, che vale, ormai, ben quattromila miliardi di dollari e che vede, avanti a tutti gli altri attori, soprattutto due giganti: Alibaba e Tecent. Il governo cinese ha, dunque, imboccato la strada della imposizione di un radicale mutamento del modello di sviluppo, che appare essere articolato intorno a due pilastri fondamentali: non è consentita una crescita illimitata, tale da consentire la formazione di oligopoli, e il trattamento dei big data deve avvenire in un’orbita controllata dallo stato.
Nel mondo occidentale l’insieme delle società hi-tech, che dominano il mercato, è noto con l’acronimo di Gafam, che corrisponde a: Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft. Il loro valore complessivo è di circa settemila miliardi di dollari e, nel periodo della pandemia, sono stati capaci di realizzare extraprofitti per circa 27 miliardi di dollari. Si tratta, come appare subito evidente, di una dimensione economica enorme, tale da costituire inevitabilmente anche un luogo di potere politico. Tale potere, peraltro, è addirittura amplificato da un aspetto peculiare che caratterizza le cinque società: pur operando in ambiti diversi, sono tutte imprese che gestiscono e controllano il mercato dei dati e delle informazioni. Praticamente tutti i cittadini del mondo occidentale sono profilati negli archivi delle cinque società, sia pure in prospettive diverse (ad es. Google per quello che concerne le ricerche, Amazon per quello che concerne gli acquisti, etc.).
Per avere un’idea del potere economico delle cinque società basta considerare che le medesime spendono al fine di condizionare l’attività delle sole istituzioni europee, secondo alcune analisi, la cifra mostruosa di cento miliardi di euro all’anno. Per quello che concerne il potere politico, poi, è sufficiente ricordare l’impatto che hanno dimostrato di avere sulle elezioni americane, potendo inibire l’accesso ai social di alcuni protagonisti della competizione politica. Appare subito evidente che si è in presenza di uno strapotere, di fronte al quale impallidisce il potere che negli anni 50 e seguenti hanno avuto le sette sorelle (secondo la felice espressione di Enrico Mattei) del petrolio: le americane Exxon, Mobil, Texaco, Standard Oil of California (Socal), Gulf Oil, l’anglo-olandese Royal Dutch Shell e l’inglese British Petroleum. In quegli anni, tuttavia, vi fu una presa di coscienza collettiva della illegittimità dell’enorme potere di quelle società e il tema fu oggetto di acceso dibattito in sede politica, anche negli Stati Uniti. Oggi, viceversa, lo strapotere delle imprese del Gafam non è nell’agenda reale del dibattito politico. E poco importa se si tratta di imprese che se ne infischiano allegramente delle norme sulla privacy o che si sottraggono destramente al pagamento delle imposte, sfruttando la loro dimensione globale.
Poco importa anche che la posizione di tali imprese sia destinata, nella situazione attuale, addirittura a incrementarsi illimitatamente nell’immediato futuro. Le cronache riferiscono, difatti, di investimenti colossali, dell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari, che le imprese del Gafam stanno eseguendo nell’ambito dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, anche attraverso l’acquisto di tutte le start up che appaiono promettenti. La prospettiva che si sta delineando è, allora, spaventosa. Per rendersene conto basta considerare a quali risultati potrà portare l’applicazione dell’intelligenza artificiale all’immenso database di cui queste imprese sono in possesso. Il risultato sarà una tecnologia capace di elaborare e avere a disposizione tutte le informazioni che occorrono per condizionare inconsciamente le scelte e le volontà di ogni cittadino: uno scenario da incubo.
Si tratta di uno sviluppo, di fronte al quale non può non suscitare sorpresa la sostanziale passività delle Autorità americane. Di fronte a una Cina la quale, appena si è resa conto della crescita smisurata del potere di queste entità, ha chiaramente deciso per il loro smembramento e per un loro complessivo ridimensionamento, l’America assiste passivamente a una crescita tumultuosa, continua e illimitata. Fa specie soprattutto il silenzio del Partito Democratico americano, oggi al potere, che forse è condizionato dai favori ricevuti dalla Silicon Valley. Un esempio: l’affermazione di una origine artificiale del Covid 19, proibita sui social quando a farla era l’amministrazione repubblicana, è diventata legittima quando ha cominciato a farla l’amministrazione democratica.
Vi è un punto, tuttavia, che suscita angoscia chiunque sarà il gestore: la possibilità dell’utilizzo dei big data attraverso l’intelligenza artificiale. Tanto se si tratterà di una gestione privata quanto se si tratterà di una gestione pubblica, in ballo vi sarà comunque il significato stesso da assegnare al concetto di libertà per la condizione umana. È urgente, dunque, affinché l’idea stessa di persona, che è alla radice della civiltà occidentale, non sia irrimediabilmente mortificata ed annullata, che si inizi subito a porre limiti vincolanti allo sviluppo e all’utilizzo dell’intelligenza artificiale per la gestione dei dati personali.
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