Combattiamo la paura con la speranza a tutela della dignità umana

Questo nostro VIII Congresso che inizia oggi nel carcere di Opera a Milano è speciale. Perché si svolge a distanza di soli quattro anni da quello in cui Marco Pannella, in questo stesso teatro, adesso a lui dedicato, avviava una campagna per porre fine all’orrore dell’ergastolo ostativo, con un coinvolgimento diretto degli ergastolani ostativi che chiamava alla lotta, affinché proprio loro, uomini condannati a non avere speranza, fossero speranza. Un appello a cui gli ergastolani ostativi avevano risposto ritmando con lui: «C’est n’est qu’un debut, continuons le combat». Una battaglia che, fin dall’inizio, ha puntato alle Alte Giurisdizioni quali principali interlocutori per la messa al bando di questa pena inumana. Da cui, in pochi anni, ha ottenuto risposta con le straordinarie sentenze della Corte europea per i diritti dell’uomo e poi della Corte Costituzionale. Una rivoluzione copernicana rispetto al pensiero tolemaico della “certezza della pena”, del “fine pena mai”, del “tu non cambierai mai”.

La missione di Nessuno tocchi Caino è quella di vedere affermata e rispettata l’intangibilità della dignità umana. Per questo abbiamo condotto al successo la campagna per la moratoria delle esecuzioni capitali all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e per questo in Congresso vogliamo porre l’urgenza e la necessità di ampliarne la visione per superare, a partire dall’Italia, oltre che la pena di morte, anche la pena fino alla morte e la morte per pena. Ci sentiamo impegnati a proseguire nella battaglia contro le esecuzioni capitali nel mondo e a intensificare l’azione di pressione, a partire dall’Africa, volta a ottenere altri sostegni alla nuova Risoluzione pro-moratoria in vista dell’Assemblea generale del 2020. Tanto più in tempi come questi in cui l’emergenza terrorismo genera la malsana idea che i diritti umani possano e debbano essere sacrificati sull’altare della sicurezza. Non intendiamo mollare né rispetto al dovere che ora incombe sullo Stato italiano di dare esecuzione alla sentenza Cedu che ha riconosciuto l’ergastolo ostativo come un problema strutturale, tenendo costantemente informato il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, né rispetto all’azione collettiva di 252 ergastolani ostativi che, grazie all’avvocato Andrea Saccucci, è stata incardinata davanti al Comitato diritti umani delle Nazioni unite.


Vogliamo che la speranza prevalga sulla paura, che lo Stato di Diritto vinca contro la Ragion di Stato che per troppi anni, in nome dell’emergenza, ha stravolto i principi costituzionali. Vogliamo continuare a tener viva l’iniziativa, da portare anche davanti alle corti di giustizia europee, volta a superare l’armamentario emergenzialista speciale di norme e regimi quali il sistema delle informazioni interdittive e delle misure di prevenzione antimafia, e delle procedure di scioglimento dei comuni per mafia, al fine di prevenire il crimine senza distruggere la vita delle persone, combattere la mafia senza minare i principi dello Stato di Diritto e i diritti umani fondamentali.

In Italia, in particolare, va posto fine all’obbrobrio giuridico di stampo fascista delle misure di sicurezza personali applicate a chi ha finito di scontare la pena e restano internati nelle cosiddette “case lavoro” o nelle colonie agricole che sono carceri a tutti gli effetti. I sette casi di detenuti che scontano la “casa lavoro” in regime di 41-bis sono emblematici della violazione del diritto a non essere giudicati o puniti due volte per lo stesso fatto. E poi c’è l’isolamento: i documentati effetti lesivi, specialmente se prolungato, lo pongono in contrasto con il divieto di tortura e di trattamenti o punizioni disumane o degradanti. Ma vogliamo soprattutto avviare la riflessione sull’attualità o meno, all’alba degli anni Venti del terzo millennio, del sistema penale e della sua appendice ultima, il carcere, un luogo strutturalmente di tortura, patimenti e afflizione, e se non sia il caso, dopo l’abolizione della pena di morte e il superamento della pena fino alla morte, di mettere in discussione anche la morte per pena, l’assurda convinzione per cui alla violenza e al dolore del delitto debbano necessariamente corrispondere una violenza e un dolore eguali e contrari, quelli inflitti dal giudizio e dal castigo propri del diritto penale.

Questa è la nuova linea del fronte di lotta di Nessuno tocchi Caino, volta a trovare, come ci richiamava Aldo Moro, «non tanto un diritto penale migliore, ma qualcosa di meglio del diritto penale», a sperimentare non pene alternative, ma alternative alla pena, come quelle – già in atto e da rafforzare – delle pratiche di riconciliazione, delle esperienze di giustizia riparativa, delle opere di pubblica utilità e di ogni altra forma di inclusione e reinserimento nella comunità. Opera è il nome di un carcere, ma vuol dire anche officina. E proprio in questo il senso il Congresso di Nessuno tocchi Caino è qui convocato per concepire, fabbricare, dare corpo a parole, idee, visioni di umanità nuova, di futuro migliore.