Più paletti e controlli da una parte, più inclusione sociale dall’altra. La manovra del Governo Draghi, in attesa di essere approvata entro fine anno, conferma la stretta sul Reddito di cittadinanza pur riconoscendo che rappresenta una strumento indispensabile per contrastare la povertà. Chi avrà la possibilità di lavorare e rifiuta una offerta considerata congrua vedrà scattare un decalage mensile, ovvero un taglio del sussidio. Dopo il secondo rifiuto ci sarà la revoca del reddito. Questa una delle novità confermata nella riunione a Palazzo Chigi del premier Mario Draghi con i ministri del Lavoro, Andrea Orlando, delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli, e della Pubblica amministrazione, Renato Brunetta.

Il taglio dell’assegno sarà quindi legato al sì o no rispetto all’offerta di lavoro (quelli proposti a mille chilometri di distanza non saranno presi in considerazione) e non sarà automatico. Ma prima di procedere entrerà in gioco anche un meccanismo di verifica per accertare che il beneficiario abbia effettivamente ricevuto e nel caso rifiutato l’offerta di lavoro, oltre ai meccanismi per facilitare l’incontro tra domanda e offerta.

Le parole di Brunetta: “Chi non si presenta al cpi perde sussidio”

“Il vecchio sistema era un’accozzaglia di confusione, ideologismi, soluzioni improbabili. In due anni e mezzo è costato 19,6 miliardi. L’importo medio erogato è cresciuto dell’11 per cento, con una serie di abusi e distorsioni sul mercato del lavoro. Basti pensare alle difficoltà di reperire personale nel turismo o nel terziario”. “L’idea di fare tutto per via digitale, a distanza, – continua il ministro – non poteva funzionare. Questa è una materia che richiede la presenza, colloqui costanti. Ora chi non si presenta al centro per l’impiego ogni mese, se non ha ragioni valide, perde il sussidio o gli viene ridotto“. Brunetta osserva che “la prima grande innovazione è tracciare una netta distinzione fra occupabili e non. Oggi 1,68 milioni di nuclei familiari ricevono il Reddito, per un totale di 3,8 milioni di persone coinvolte, ma dei beneficiari solo circa un terzo è occupabile. E su questo che si deve intervenire con le politiche attive del lavoro”.

“I centri per l’impiego devono convocare 600mila persone al mese”

Gli attuali centri per l’impiego dovranno convocare ogni mese 600 mila persone: “E’ fondamentale. Sono ordinario di Economia del lavoro da 40 anni e la letteratura su questo tema è inequivocabile: per collocare le persone bisogna parlarci, conoscerle, confrontarsi in presenza. Nel sistema com’è i beneficiari possono ricevere una raccomandata a casa con l’offerta di lavoro, ma c’è chi la evita proprio per non far scattare l’eventuale rifiuto. Meglio rafforzare il personale dei centri per l’impiego per fare gli screening che mandare assegni online in Romania”, ha concluso Brunetta.

Le 10 proposte per cambiare e migliorare il Reddito

Intanto sono dieci, al momento, le proposte avanzate dal comitato scientifico guidato da Chiara Saraceno e istituito lo scorso marzo al ministero del Lavoro perché previsto dalla legge istitutiva del Reddito. Dieci proposte per migliorare il Reddito di cittadinanza ed eliminare le “criticità” emerse in questi anni. Il lavoro della commissione scientifica “è una base da cui il Parlamento può partire per eventuali integrazioni” ha spiegato il ministro del Lavoro Orlando, “Verrà sottoposto a confronto con le altre forze politiche e valuteremo quali sono le proposte che possono marciare in modo più fluido e altre che possono essere divisive e verranno rimesse al parlamento”.

La prima è quella di non discriminare stranieri: ridurre a 5 anni requisito residenza

“Per ricevere il reddito di cittadinanza sono oggi necessari 10 anni di residenza in Italia, di cui gli ultimi 2 continuativi”, sottolinea Saraceno. Un limite “altissimo, nessun Paese ce l’ha così alto. Aspettare così tanto a sostenere una famiglia in povertà significa lasciare molti in un percorso di esclusione quasi irreversibile. Il contrasto alla povertà deve agire tempestivamente, non quando è troppo tardi”. Si propone dunque di ridurre da dieci a cinque anni il requisito di residenza per gli stranieri per l’accesso al reddito di cittadinanza, con un costo di circa 300 milioni di euro in più portando dentro circa 68mila famiglie.

La seconda è quella di rivedere la scala di equivalenza: non si penalizza intero nucleo familiare

Una proposta nata per ridurre il gap tra le famiglie numerose e quelle piccole e i single. Ovvero ridurre la soglia di partenza per i nuclei di una persona da 6000 a 5400 euro; equiparando, nella scala di equivalenza, i minorenni agli adulti, attribuendo a tutti, dal secondo componente della famiglia in su, il coefficiente 0,4; portare il valore massimo della scala di equivalenza a 2,8 (2,9 in presenza di persone con disabilità); in caso di decadenza dal diritto al beneficio a causa di non ottemperanza agli obblighi da parte di un componente della famiglia, la decadenza valga solo per questi, quindi per la sua quota, non per l’intero nucleo. “Ci sono dei problemi nella scala di equivalenza, uno è legato all’Isee, l’altro è legato alla famiglia come il fatto che un minorenne vale la metà di un adulto, ciò va a sfavore dei minorenni: la nostra proposta è di equiparare adulti e minorenni e alzare il coefficiente da 2,1 a 2,8 abbassando l’importo minimo da 500 a 400 euro, quindi con una redistribuzione interna. Oggi il calcolo è più favorevole a famiglie piccole e di adulti. L’assegno unico potrebbe impattare su questo discorso ma va cambiato innanzitutto il meccanismo di accesso”.

La terza: “Una migliore capacità di sostenere i costi dell’abitare”

Secondo il comitato scientifico occorre differenziare il contributo per l’affitto in base alla dimensione del nucleo familiare, riducendolo per i nuclei di una sola persona e incrementandolo progressivamente al crescere del numero dei componenti.

La quarta: parte del reddito anche a chi lavora

“Non penalizzare chi lavora”: nella determinazione del reddito ai fini del calcolo dell’importo del sussidio da considerare, per chi inizia a lavorare o è già occupato, il reddito da lavoro solo per il 60%, senza limiti di tempo, ma fino a quando viene raggiunto il reddito esente da imposizione fiscale (nel 2021, 8174 euro per i redditi da lavoro dipendente e 4800 per i lavoratori autonomi), considerando al 100% la parte eccedente questa soglia.

La quinta: “Considerare il patrimonio in modo flessibile”

Considerare il patrimonio mobiliare come una delle tre fonti – insieme con reddito familiare e RdC – che, in quanto liquidabile, contribuisce a determinare la capacità di spesa (potere di acquisto) di una famiglia; prevedere che una parte del patrimonio mobiliare non sia liquidabile in quanto costituisce un cuscinetto riserva per le famiglie, per un ammontare di 4.000 euro (nel caso di famiglia con un solo componente); calcolare l’entità del RdC dovuto come la differenza tra la soglia di reddito complessivo che il RdC intende garantire e la somma del reddito disponibile e della quota di patrimonio liquidabile.

La sesta: “Eliminare l’obbligo di dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro per chi è indirizzato ai servizi sociali”

Richiedere la dichiarazione di immediata disponibilità solo dopo l’indirizzamento ai Centri per l’impiego e ai servizi sociali e solo a coloro che sono indirizzati (o reindirizzati successivamente) ai primi.

La settima: “Ridefinire i criteri di lavoro congruo per stimolare l’accesso all’occupazione”

Nella considerazione dell’entità minima della retribuzione accettabile rimodularla in base all’orario di lavoro per tenere conto anche di occupazioni part time; per quanto riguarda l’orario di lavoro ritenuto congruo, invece di riferirsi a rapporti di lavoro a tempo pieno o con orario di lavoro non inferiore all’80% di quello dell’ultimo contratto di lavoro, stante che in molti casi questo riferimento non è possibile, fare riferimento a rapporti con orario di lavoro non inferiore all’60% dell’orario a tempo pieno previsto nei contratti collettivi di cui all’art. 51, d.lgs. n. 81/2015; considerare, almeno temporaneamente, congrui non solo contratti di lavoro che abbiano una durata minima non inferiore a tre mesi, ma anche contratti di lavoro per un tempo più breve, purché non inferiori al mese, per incoraggiare persone spesso molto distanti dal mercato del lavoro ad iniziare ad entrarvi e fare esperienza; eliminare le severe disposizioni che, ai fini della congruità dell’offerta lavorativa, fissano, dopo la prima offerta, il distanziamento del luogo di lavoro entro 250 chilometri dal luogo di residenza, ovvero su tutto il territorio nazionale, disposizioni palesemente assurde e inutilmente punitive per lavori spesso a tempo parziale e con compensi modesti.

L’ottava: incentivi ai datori di lavoro per le assunzioni dei percettori Rdc

Estendere l’attuale incentivo alle imprese che assumono i beneficiari del RdC anche nel caso di assunzioni con contratto a tempo indeterminato con orario parziale, assunzioni con contratto a tempo determinato, purché con orario pieno e di durata almeno annuale; sospendere, almeno temporaneamente in attesa che il meccanismo divenga più fluido ed efficiente, il requisito della presenza dell’offerta di lavoro sulla piattaforma.

La nona: “Rafforzare i patti per l’inclusione e l’attuazione dei progetti di utilità collettiva”

Oltre a rafforzare e formare adeguatamente l’organico dei servizi sociali comunali, specie laddove è più sotto-dimensionato, occorre definire meglio un sistema di governance molto complesso, che vede interagire soggetti diversi – pubblici, di terso settore, privati – oltre a valutare se utilizzare criteri di priorità generali e rigidi per coinvolgere i beneficiari nei Puc (i componenti adulti della famiglia più giovani) sia il modo più adeguato per far funzionare i progetti e per rafforzare le capacità delle persone.

La decima: Abolire obbligo di spendere tutto in un mese

“Superare le distorsioni nell’utilizzo del RdC”: abolire l’obbligo di spendere l’intero contributo economico entro una scadenza predefinita; ridurre i vincoli sull’utilizzo.

Redazione

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