Espressione del territorio e simbolo di eccellenza. Questo è l’Amarone, il vino principe della Valpolicella, secondo l’analisi di sei giovani produttori fatta nel corso della manifestazione “Amarone Opera Prima” del giugno scorso da Jean Charles Viens, canadese, grande esperto e formatore nel mondo del vino, specializzato per anni sui mercati asiatici, oggi docente presso l’Italian Wine Academy di Verona.
L’Amarone con 18 milioni di bottiglie all’anno è senza dubbio uno dei vini italiani più conosciuti nel mondo e orienta il prezzo più alto del mercato del vino sfuso e i prezzi dell’uva in Italia, ridistribuendo un ampio reddito in tutta la regione. Ecco perché il Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella ha pensato di ripartire in giugno volando molto alto, con lo svolgimento di un’anteprima in coincidenza con la ripresa della stagione lirica dell’Arena di Verona.
Troppo spesso, tuttavia, la specialità dell’Amarone è raccontata attraverso la storia, certamente decisiva e cruciale, delle grandi aziende storiche della zona che hanno fatto la fortuna della denominazione. Oggi assistiamo invece a due fenomeni nuovi: l’emersione di cantine guidate da giovani vignaioli e l’affermazione di uno stile più contemporaneo, fine ed elegante, che, per certi versi, altro non è se non un ritorno alle modalità di vinificazione tradizionali.
“Dal 1972 al 1995 circa, la percentuale annua delle uve ferme (uva a riposo) – quelle utilizzate per l’appassimento – oscillava tra il 4 e l’8% della produzione totale di uva. Nel 1996 è cresciuto al 10%, nel 1998 al 15% ed è rimasto superiore al 30% dopo il 2006”, racconta Viens. “Negli anni ’90 – continua Viens – i media del vino americani si interessarono in modo particolare all’Amarone, pubblicando una serie di articoli che mettevano in evidenza l’unicità della tipologia, e importanti distributori americani furono determinanti nella creazione delle icone della Valpolicella che conosciamo oggi, suscitando l’interesse per l’intera regione”.
Da alcuni anni a questa parte qualcosa, però, sta cambiando. In primo luogo, il cambiamento climatico ha aiutato con una migliore maturazione dei frutti.
Gli studi scientifici condotti nei vigneti hanno favorito una più profonda conoscenza e rivalutazione dei vitigni autoctoni della Valpolicella e delle loro selezioni clonali. Le tecniche di appassimento e di affinamento dei vini sono migliorate offrendo vini più puliti, più freschi, più adatti al gusto moderno. I numeri della denominazione ci parlano di 2.271 viticultori, 6 cantine sociali e 322 imbottigliatori. Su questi 322 imbottigliatori, ovvero coloro che mettono i vini in bottiglia con etichetta, ci sono circa 250 che producono meno di 100.000 bottiglie all’anno. Un mondo ampio e in crescita che merita un approfondimento specifico, al di là dei grandi e nobili marchi che tanto hanno contribuito al successo della denominazione. Il Consorzio di tutela dei vini della Valpolicella con l’evento “Amarone Opera Prima” del giugno scorso ha cercato di accendere i riflettori sulle novità che, negli ultimi anni, stanno emergendo dal territorio. Spiega Viens: “oggi il mercato ha una visione piuttosto miope delle possibilità della regione. Me compreso, anche dopo aver vissuto a Verona per due anni. Questa visione miope della regione amplifica l’idea sbagliata che solo i grandi produttori, comprese le cooperative, influenzino i regolamenti e la politica della regione. Ma se si considerano i numeri, questi 250 produttori rappresentano più del 75% degli imbottigliatori della regione, se non ancora nei volumi, sicuramente sul piano della visione”. In pratica, aumentare l’attenzione dei media verso questi piccoli produttori può, da un lato, aumentare la conoscenza più approfondita del territorio e, dall’altro, riconoscere la capacità di questi soggetti di influenzare cambiamenti virtuosi nel futuro della denominazione.

Villa Spinosa, Amarone della Valpolicella Classico 1998: invecchiato 18 anni in botti di rovere di Slovenia prima di essere imbottigliato nel 2017. È prodotto con Corvina Veronese, Corvinone, Rondinella e Molinara. Enrico Cascella Spinosa per produrre questo vino si è circondato di un gruppo di giovani collaboratori, molti formatisi sotto Roberto Ferrarini, l’enologo che ebbe una profonda influenza sul pensiero di Enrico e molti altri in Valpolicella, tra cui Beppe Quintarelli.

Romano dal Forno, Amarone della Valpolicella 2003: questo vino ha trascorso tre anni in botti di rovere nuovo 100%. Uvaggio: Corvina, Rondinella, Croatina e Oseleta. La missione di Romano dal Forno è competere con i migliori vini francesi e creare un vino simbolo per la regione. La lavorazione delle uve è meticolosa al fine di evitare i rischi di contaminazione e ossidazione durante ogni fase del processo di vinificazione. L’azienda punta a vini freschi, intensi, con un potenziale di invecchiamento molto lungo e immuni dall’acidità volatile.

Ca la Bionda, Amarone della Valpolicella “Ravazzol” 2007: utilizza Corvina, Corvinone, Rondinella e Molinara. È stato affinato per 36 mesi in botti di rovere da 3000 litri. “Bisogna pensare all’Amarone come a un vino importante. Deve avere la capacità di invecchiamente, deve essere raro, il meglio del meglio in Valpolicella”, spiega Alessandro Castellani, il titolare. “Il bello dell’Amarone, e forse il motivo del suo successo, è che piace a tutti”, continua Castellani, “ma ciò non significa che l’Amarone debba essere un vino da bere tutti i giorni. Deve essere complesso, elegante, raffinato, equilibrato con la giusta concentrazione per l’invecchiamento e pienamente espressivo della sua provenienza”. Insomma, un vino di terroir.

Le Guaite di Noemi, Amarone della Valpolicella 2010: composto da corvina, rondinella, corvinone, oseletta e croatina. Affina 36 mesi in barriques di rovere francese. Noemi Pizzighella è un vulcano di passione e di entusiasmo: “il processo di appassimento concentra tutto, non solo gli zuccheri delle uve ma anche le caratteristiche dei vigneti da cui provengono. Dobbiamo pertanto lasciare che i nostri vini riflettano tutto questo”. Noemi rappresenta bene la vitalità di una nuova generazione di viticultori della Valpolicella, i quali, a differenza dei genitori e dei nonni, hanno voglia di incontrarsi , confrontarsi e collaborare per generare nuove idee e costruire un futuro migliore per la regione.

Vigneti di Ettore, Amarone della Valpolicella Riserva 2012: composto da Corvina, Rondinella, Corvinone, con una piccola parte di Pelara. Affina 7 anni in botti di rovere di Slavonia. Gabriele Righetti, il giovane addetto alla vinificazione, e suo padre, Giampaolo, responsabile dei vigneti, credono molto nella forza dei piccoli produttori e coltivatori nati qui, proprietari della loro terra. Anche Gabriele è convinto che le giovani generazioni non hanno paura di fare squadra, degustando ciascuno i vini dell’altro, confrontandosi per imparare ed evolversi. Partendo dal terroir, i vini di questa azienda gestiscono l’appassimento e l’affinamento con attenzione per conciliare longevità e profondità con la bevibilità e l’eleganza.

Villa San Carlo, Amarone della Valpolicella Riserva 2016: prodotto con Corvina, Corvinone, Rondinella e una piccola percentuale di altre uve. Ha trascorso 36 mesi, parte nei tonneaux di rovere francese e parte nelle botti da 10 e 20 hl. Anche secondo Marco Signorini, il giovane enologo dell’azienda, il presente e il futuro dell’Amarone stanno nella ricerca di un vino di eccezionale equilibrio, bevibilità ed eleganza. “Lavoriamo costantemente per una comprensione più precisa di ogni singola parcella e per un ritorno alle uve tradizionali con un programma di reimpianto in alcuni appezzamenti con totale dedizione al sistema convenzionale della pergoletta”, spiega Signorini. In conclusione, “l’Amarone deve essere un vino di terroir nel quale il metodo di appassimento e affinamento rimane delicatamente in secondo piano”. Insomma, un senso di tradizione che resta sullo sfondo per esaltare la freschezza e l’integrità del vino.

Alla luce di questo breve focus, si può senz’altro riconoscere la qualità del lavoro dei produttori e del Consorzio che li riunisce. Ottima anche l’idea di collegare questa eccezionale anteprima – eccezionale perché si è svolta a giugno a causa dei ritardi provocati dalle restrizioni da Covid nel corso dell’inverno – alla ripartenza del programma dell’Opera dell’Arena di Verona. Si spera davvero che il tempo della pandemia sia definitivamente chiuso: l’alleanza di due eccellenze – l’Opera e l’Amarone – è un ottimo auspicio per la ripresa della vita normale e per il rilancio dell’economia locale.

A tal proposito, la stagione estiva può essere l’occasione per visitare questo territorio strepitoso per l’offerta di cultura, arte, tipicità enogastronomica, cucina. Segnaliamo pertanto alcuni imperdibili fermate gourmet per chi si trova a Verona, cuore della Valpolicella, per le vacanze estive.

Dodici Apostoli
Sito in un palazzo del 700, nascosto tra i vicoli del centro. Lo chef è Mauro Buffo. Una cucina contemporanea legata ai sapori veronesi dell’infanzia, ma ricca di citazioni tecniche, creative e concettuali. Il menù spazia dal pane, lardo, baccalà, salsa tandoori, alla seppia-spiedino e pomodoro al cren; dall’uovo, luccio, coriandolo, all’acqua, farina, lepre, spugnola; dal risottino al whisky, uvetta, buccia di limone, al manzo al pepe verde, fino alla pera, tartufo, nocciola. Tra le volte della cantina settecentesca anche una ricca offerta di vini.
Vicolo Corticella S. Marco, 3, 37121 Verona
Tel. 045/596999

Casa Perbellini
Vicino alla celebre basilica di San Zeno, lo chef Giancarlo Perbellini propone una cucina dei grandi classici della tradizione veneta con attenzione particolare alla stagionalità. La cucina è a vista in sala. Tra i piatti più rappresentativi: lo zabaione ghiacciato e caviale affumicato, il wafer al sesamo, tartare di branzino, caprino e sensazione di liquirizia, il risotto “come un barbecue”, il piccione con purea di mandorle, gel di mirtillo e ajo blanco, la marchesa al cioccolato con gelato all’orzo e composta di agrumi. Carta dei vini con una vasta scelta di bottiglie francesi.
Piazza San Zeno, 16, 37123 Verona VR
Tel. 045 878 0860

L’Artigliere
Il ristorante si trova in un edificio che ospita un vecchio mulino per la pilatura del riso, in funzione per molti secoli a partire dal 1612. Il menu prevede dieci tipi diversi di riso: “Il riso è come un foglio di carta bianco su cui poter disegnare ciò che si vuole”, scrive Botta sulla carta dei risotti. Ampia l’offerta dei menu degustazione, partendo dalle 3 portate arrivando fino alle 7 portate. Ben fornita la carta dei vini, con buone possibilità a bicchiere. Sfiziosa la carta dei dolci.
Via Boschi, 5, Isola della Scala (VR)
Tel. 3923400350

L’oste scuro
Un secolo fa l’oste era chiamato scuro perché si pensava che le mura nascondessero un segreto. Da qui il nome di questa raffinata osteria in pieno centro storico, tra Castelvecchio e Piazza Bra. Oggi l’oste è Simone Lugoboni, cuoco esperto e competente che ha fatto di questo locale una meta per gli amanti della cucina di mare. Non solo ostriche e caviale: c’è il sampietro con crema di melanzane, pomodoro confit e maionese all’aglio nero, o le tagliatelle con sgombro, cipolla di Giarratana, aneto e pistacchio di Bronte, o la ricciola bianca grigliata con purea di fave, porcini freschi e capperi fritti. La cantina privilegia bianchi e bollicine.
Vicolo S. Silvestro 10, Verona
Tel. 045/592650

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient