È stato varato nell’ottobre scorso il D.M. in materia di specializzazioni dell’avvocato. Ciò si è reso necessario a seguito del parziale annullamento del precedente D.M. n. 144/2015 da parte del Consiglio di Stato che, con pronuncia n. 5575/2017, aveva confermato la sentenza del TAR del Lazio. La nuova disciplina dell’avvocato specialista, introdotta dal D.M. 163/2020, dà così piena applicazione all’art. 9 della legge professionale n. 247/2012 che aveva previsto la possibilità di conseguire il titolo di specialista in campo forense.

Come è noto, il Consiglio di Stato aveva individuato due criticità nel precedente D.M. del 2015 e precisamente: l’individuazione dei settori di specializzazione e la disciplina del colloquio diretto ad accertare la comprovata esperienza anche in assenza della fattiva frequenza del corso di specializzazione. Quanto al primo aspetto il Consiglio di Stato aveva evidenziato che sia il settore attinente al diritto amministrativo, sia quello attinente al diritto penale, prevedono sotto- settori autonomi nella pratica, nella dottrina e nella didattica, che -al pari di quelli del diritto civile- meriterebbero essere considerati settori autonomi di specializzazione.

Fermo restando le tre macro aree tradizionali, giustizia civile, penale e amministrativa, vengono ora introdotti i singoli settori di specializzazione, cd “indirizzi”: 11 per il settore civile, 7 per il penale e 8 per l’amministrativo; per cui, a titolo esemplificativo, oggi ci si potrà dichiarare avvocato specialista nel diritto amministrativo con indirizzo in materia urbanistica o del pubblico impiego oppure specialista in diritto civile con indirizzo in diritto agrario o dell’esecuzione forzata o specialista in diritto penale con indirizzo nel diritto penale ambientale o dell’informazione e delle nuove tecnologie (internet). L’art 5 del Decreto pone il limite di tre specializzazioni per ciascun settore che al dire il vero appaiono financo eccessive. Quanto al secondo aspetto, la discrezionalità della commissione esaminatrice, da istituirsi presso il CNF, viene a ridursi ulteriormente stante la prevista tassatività degli indirizzi di specializzazione.

In estrema sintesi il titolo potrà essere conseguito attraverso due strade: a) la dimostrazione della comprovata esperienza da parte del richiedente in un determinato settore; b) la frequenza, con esito positivo, dei corsi di specializzazione previsti di cui all’art. 7 del Decreto. In ragione di ciò appare corretto affermare che il precedente D.M. del 2015 è stato confermato nel suo impianto di base, specie per quanto attiene al doppio canale di accesso al titolo, secondo quanto previsto dal richiamato articolo 9 della legge professionale. È stata quindi cancellata dall’ordinamento forense la preclusione di cui all’art. 91 del RDL n. 1578/1933 il quale disponeva che «alle professioni di avvocati e procuratori non si applicano le norme che disciplinano la qualifica di specialista nei vari rami di esercizio professionale». Due considerazioni si impongono in ordine al quadro normativo sopra descritto.

In primo luogo la specializzazione dell’avvocato va necessariamente a collegarsi alla specializzazione del Giudice, con la doverosa premessa che il Giudice specializzato è concetto ben differente dal Giudice speciale la cui istituzione trova lo sbarramento costituzionale derivante dall’art. 102, secondo comma, Cost., che vieta l’istituzione di giudici speciali e consente invece l’istituzione di sezioni specializzate presso gli organi giudiziari ordinari per determinate materie. Va anche detto che la specializzazione del Giudice, che costituisce una indubbia garanzia di competenza per l’utenza, non può prescindere da una riforma in materia di geografia giudiziaria. È fin troppo evidente che una seria specializzazione dell’organo giudicante non può avvenire in uffici giudiziari di piccole dimensioni dove il Magistrato è chiamato a occuparsi un po’ di tutte le materie, addirittura passando dal settore civile a quello penale e viceversa.

È necessario quindi dar vita all’accorpamento dei Tribunali di piccole dimensioni ed incrementare la metodologia specialistica, peraltro già in essere all’interno delle Corti d’Appello. Una seconda considerazione attiene al fondamentale ruolo che il D.M. attribuisce al CNF, ai COA territoriali, alle associazioni maggiormente rappresentative e soprattutto alle Università che sono poi i soggetti chiamati a cooperare tra loro per organizzare i corsi e impostare le singole lezioni per poi gestire la prova finale volta al conseguimento del titolo. E difatti i corsi di formazione verranno organizzati dai dipartimenti delle Facoltà di Giurisprudenza, legalmente riconosciute. I corsi di specializzazione dovranno snodarsi in programmi didattici che devono essere conformi alle linee generali, predisposte da una commissione permanente da istituirsi, ex art. 7 del D.M. presso il Ministero della Giustizia. Per cui il CNF o i COA territoriali, ma direi a questo punto anche le Scuole Forensi, potranno stipulare con le articolazioni universitarie, apposite convenzioni al fine di assicurare la formazione specialistica.

Un’ultima considerazione in conclusione si pone circa i settori di specializzazione e le prospettive di mercato al fine di capire quale potrà essere l’impatto della nuova normativa sulla vita professionale degli avvocati. Per sviluppare l’argomento occorre partire da una necessaria differenziazione tra il mercato rivolto verso i soggetti privati e quello rivolto verso le pubbliche amministrazioni. Quanto al primo settore, essendo ancora il mercato del lavoro caratterizzato dal rapporto fiduciario, occorre prendere in esame le modalità con cui un giovane professionista possa accogliere le opportunità offerte dal mercato. È diffusa l’affermazione che materie quali l’information tecnology, la tutela della proprietà intellettuale, il diritto industriale, del lavoro, bancario e finanziario, offrano maggiori possibilità di sviluppo, richiedendo pertanto professionalità specialistiche: va da sé che, in questo drammatico momento storico, una formazione specialistica in diritto del lavoro potrebbe offrire opportunità di occupazione, essendo un fatto pacifico che le normative sulla tutela del posto di lavoro adottate nel periodo emergenziale saranno generatrici di contenzioso (a tacere dell’assistenza stragiudiziale in procedure di riorganizzazione aziendale); oppure si pensi alla tutela dei nuovi diritti dell’informatica, e del mondo dei social network.

Diverso è il ragionamento da farsi in merito al mercato degli incarichi da parte delle pubbliche amministrazioni.
In materia, al fine di un più corretto inquadramento dell’argomento della nostra conversazione, appare utile premettere che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza del 6.6.2019 nella causa C-264/18, ha chiarito che le prestazioni di cui all’art. 10 lettera d-i e d-ii (che descrivono l’attività tipica dell’avvocato di difesa davanti ad un’autorità giudiziaria e l’attività di consulenza prodromica ad un’attività processuale) della direttiva 2014/24 (direttiva appalti, trasfusa nel vigente codice dei contratti) «si configurano solo nell’ambito di un rapporto intuitu personae tra l’avvocato e il suo cliente, caratterizzato dalla massima riservatezza», con conseguente esclusione di tale tipo di rapporti dall’applicazione del codice dei contratti.

Nel nostro ordinamento, al di là delle norme di recepimento contenute nel codice dei contratti, una particolare rilevanza è assunta dalle linee guida ANAC n. 12 del 24.10.2018, che hanno individuato una serie di parametri per l’affidamento degli incarichi di difesa della pubblica amministrazione. Queste sono solo delle prime riflessioni indotte dalla nuova normativa anche se solo l’esperienza pratica permetterà di capire l’importanza della specializzazione nella vita professionale degli avvocati, specie per i più giovani.