Coprifuoco, lockdown, stato di emergenza, potenza di fuoco. In due anni la nostra grammatica è cambiata e queste sono alcune delle parole più ricorrenti nel linguaggio lessicale. Da due anni viviamo in una condizione di emergenza non stop: dalla lotta al coronavirus alla guerra in Ucraina. Siamo passati dalle misure urgenti per il contenimento del Covid a quelle sulla crisi scatenata dall’attacco russo, dal lockdown per ragioni sanitarie al coprifuoco di Kiev, dal conteggio dei morti per la malattia respiratoria acuta a quelli causati dalle bombe fatte esplodere nell’Europa orientale a partire dal 24 febbraio scorso.
A ricostruire le parole chiave del nuovo universo dominato dalla paura e dalla speranza di un ritorno alla normalità è Filippo Poletti, giornalista e top voice di LinkedIn, nel libro “Grammatica del nuovo mondo”, con premessa-testamento del filosofo Salvatore Veca. «La grande full immersion dell’Italia nell’emergenza – ripercorre Poletti, ricordando i quasi 6 milioni di morti nel mondo per coronavirus, di cui più di 154 mila nel nostro Paese – avvenne nella notte di giovedì 20 febbraio 2020, quando si diffuse la notizia del focolaio di Codogno, in provincia di Lodi. Qualche giorno dopo, il 10 marzo, tutta l’Italia finì in isolamento forzato. Allora i media fecero riaffiorare nella memoria collettiva la parola “coprifuoco”, adottata oggi a Kiev con lo scoppio della guerra».
«Nel 2020 alcuni commentatori italiani – scrive Poletti nel libro – paragonarono il lockdown al coprifuoco, provvedimento risalente al Medioevo e riferito all’obbligo di tenere spenti i fuochi durante le ore notturne per evitare il rischio di incendi. In un’epoca in cui le case erano fatte di legno, gli incendi potevano distruggere interi quartieri e le ore notturne erano le più pericolose. Dobbiamo tornare indietro nel tempo, alla Seconda guerra mondiale e successivamente al colera del 1973 a Napoli, alle rivolte nelle banlieue parigine del 2005 e ai cicloni Ike e Gustav per ritrovare, prima ancora di Kiev, l’uso del coprifuoco». Nel libro si analizza la grammatica degli ultimi due anni, dove trovano spazio le misure adottate in Italia dalle pubbliche autorità per fronteggiare prima il problema sanitario e ora la crisi in Ucraina.
È una grammatica dell’emergenza in cui si trovano anche diversi nomi propri di persona, simboli di speranza: è il caso di Aurora Maria Perottino, nata il 24 marzo 2020 nel piccolissimo Comune di Moncenisio, in Piemonte, nelle settimane seguite allo scoppio del coronavirus. Ed è il caso, recentissimo, di Mia, la bambina partorita il 26 febbraio nei sotterranei della metropolitana di Kiev, usati come rifugio durante i bombardamenti russi. «Gli ultimi due anni – tira le somme Poletti – hanno visto l’uso frequente di tante parole legate alla guerra, da “combattere il male” a “focolaio”, a “potenza di fuoco”. C’è chi ha rifiutato ragionevolmente il paragone lessicale tra la lotta al coronavirus e la guerra: si tratta di due situazioni completamente differenti, ciò che tuttavia le accumuna è il sentimento di paura e di disagio che hanno suscitato e continuano a suscitare nelle persone. Mai come oggi, dopo oltre 750 giorni di emergenza non stop, è sempre più radicato in Italia il desiderio di ritorno alla normalità e di convivenza pacifica tra i popoli».