Come un pugno nello stomaco. Come una vertigine su un abisso che hai paura ad affacciarti e finire per caderci dentro. Come un libro che pagina dopo pagina ti inquieta ma che non smetti di leggere perché fuggire da quell’inquietudine rivelerebbe la tua mediocrità e la tua vigliaccheria. Come D’aria è un libro che bisogna leggere perché parla della vita, della nascita, della malattia, della danza, dei pregiudizi, della rabbia, dell’indifferenza, dell’amore, della morte.

Una storia semplice che tiene dentro di sé tante storie intrecciate, tante vite che avrebbero potuto essere e che invece non ci sono state o si sono interrotte. La vita narrata in prima persona dall’autrice, Ada d’Adamo, che sognava di danzare e di essere aria. Il racconto della sua gravidanza, di una mancata diagnosi di una grave malformazione cerebrale, della nascita di Daria, dello sgomento che poco a poco si fa strada nella sua esistenza, in quella delle persone che le stavano attorno, dei silenzi imbarazzati dei medici, delle infermiere, delle amiche…

“Quando hai un figlio disabile cammini al posto suo, vedi al posto suo, prendi l’ascensore perché lui non può fare le scale, guidi la macchina perché lui non può salire sull’autobus. Diventi le sue mani e i suoi occhi, le sue gambe e la sua bocca. Ti sostituisci al suo cervello. E, a poco a poco, per gli altri finisci con l’essere un po’ disabile anche tu: un disabile per procura”.

Un libro sull’amore, quello tra madre e figlia. Un amore come una lotta, fondato innanzitutto sulla fisicità. Contraddicendo il titolo c’è poca aria, c’è poca lievità in questo rapporto. C’è tutta la gravità del peso di un corpo che ha bisogno di essere portato, sorretto, di un corpo impaurito che ha necessità di essere abbracciato per sentirsi protetto, per smettere di piangere, un corpo che graffia, che si strappa i capelli, che morde, un corpo che sente il dolore ma che non parla, che non ha parole ma che comunica. Nessun genitore è preparato per affrontare questa prova.

Non solo i genitori. Ada d’Adamo racconta il suo viaggio tra le strutture sanitarie, quelle scolastiche, le reti sociali e quelle amicali: tutte fondamentalmente impreparate e inadeguate ad affrontare la situazione, sciogliere l’enigma che l’esistenza di Daria pone loro. Una narrazione priva di qualunque retorica, cruda, senza autocommiserazione né autocompiacimento. La realtà così com’è, a volte anche sbattuta in faccia. Una storia di straordinaria resilienza che obbliga l’autrice, e noi con lei, a rileggere le scelte compiute in passato, a riflettere sui valori su cui sono state costruite le sue, le nostre relazioni. Non si può rimanere indifferenti di fronte allo svolgersi di questo racconto che proprio perché nudo di ogni teorema, risulta vero e credibile.

Due anni dopo la nascita di Daria l’autrice aveva scritto una lettera a Corrado Augias pubblicata su La Repubblica nel febbraio 2008: “… La chiesa, la politica, la medicina smettano di guardare alle donne come puttane che non vedono l’ora di uccidere i propri figli. L’aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno avrei scelto l’aborto terapeutico.” Ecco posta la questione morale di fondo, la vertigine, la domanda incombente a cui nessuno può rispondere in sincerità per conto di un altro. Si può amare una persona e desiderare al tempo stesso che non sia mai nata? Ada d’Adamo offre risposte che nel suo desiderio di verità sono spiazzanti.

Ma il libro “Come d’Aria” non è solo questo. È anche la testimonianza di come l’autrice scopra e senta crescere in sé la malattia, un tumore, e anche lei, al pari di Daria, diventi a poco a poco un corpo rigido, in disfacimento, un guscio di dolore, un bersaglio di trattamenti, chemio, radioterapie, speranze, ricadute, pietose bugie. Nella loro fragilità, nella loro malattia, madre e figlia finiscono per assomigliarsi, per incorporarsi: “E’ così che ancora e ancora continuo a identificarmi con te. il mio corpo sperimenta, seppure in misura ridotta, i limiti del tuo. Prima li conoscevo, li sentivo, li toccavo attraverso te. Poi ho cominciato via via a incorporarli”.

Ada d’Adamo è morta il 1 aprile di quest’anno, anno 2023. Il giorno prima aveva saputo di essere tra i finalisti del Premio Strega, il più importante premio letterario italiano. Il 6 luglio ha vinto il Premio.

Come un pugno nello stomaco, ma non soltanto. Anche un’appassionata ricerca di vita e di bellezza. “Desideravo la bellezza, l’ho detto. E tu a dispetto degli occhi molto ravvicinati e delle sopracciglia unite, nonostante lo strabismo e la microcefalia, sei stata sempre una bella bambina. Desideravo la bellezza e l’ho avuta: ho avuto te”.