La tragedia e le polemiche
Come è caduta la funivia del Mottarone, perché si è spezzato il cavo che ha causato la strage
Come fisico della materia, vi potrei parlare delle cause presunte della rottura del cavo della ferrovia di Stresa, del possibile affaticamento dei fili di acciaio attorcigliati che costituivano il cavo, o di microscopici danneggiamenti non diagnosticati. Ma sarebbero ipotesi, che accerteranno i periti incaricati dal tribunale di eseguire le indagini sui materiali. In ogni caso, il risultato è lo stesso. Un cavo ha ceduto per logoramento spontaneo o per l’usura indotta da un uso improprio. Un evento rarissimo, che non avrebbe avuto conseguenze drammatiche, se i sistemi di sicurezza non fossero stati disattivati.
Escludendo che qualcuno, anche tra coloro che hanno manomesso il sistema frenante, avrebbe desiderato arrecare danno ai passeggeri, come si è potuto verificare un disastro del genere? Cosa pensava(no) o cosa si augurava(no) che accadesse? Perché qualcosa hanno dovuto pensare o augurarsi, è impossibile che lo abbiano fatto in stato di perfetta incoscienza. Si tratta pur sempre di tecnici e, se un meccanico di auto toglie gli airbag o le luci di posteriori di frenata, indipendentemente dal motivo per cui lo fa, si rende ben conto delle possibili conseguenze. È di questo che voglio ragionare con voi.
Nessuno sa quando sia nata la disputa tra Fisici e Ingegneri. Ognuna delle due categorie sostiene di possedere l’approccio corretto alla soluzione dei problemi tecnologici. Si narra che un fisico e un ingegnere discutessero su come si sarebbe potuto stabilire il peso di un aeroplano “747”. Il fisico ipotizzò che dovesse esistere una bilancia per carichi eccezionali e che si sarebbe potuta utilizzare quella. In alternativa, si sarebbe potuto usare il metodo di Archimede, immergendo l’aeroplano in una enorme vasca o piscina, misurando la spinta idrostatica. O ancora, si sarebbe potuto far decollare l’aeroplano in assenza di vento, calcolando il rapporto tra la potenza dei motori al momento del distacco dal suolo e la sua portanza alare. Oppure…
Nel frattempo l’ingegnere aveva telefonato all’ufficio tecnico della Boeing e gli avevano detto che il peso a vuoto del “747” è 180 tonnellate. Non sempre l’ingegnere può telefonare a qualcuno per risolvere il problema e quindi i fisici non rischiano di restare disoccupati, ma questo aneddoto suggerisce il motivo per cui ponti, viadotti e funivie sono solitamente infrastrutture affidabilissime e per cui, quando accade un disastro, ci deve essere stato un motivo molto serio: qualcosa deve essere andato storto per cause che non potevano essere evitate durante il progetto e la costruzione dell’opera. Vediamo come procede un ingegnere quando deve valutare la tenuta, cioè il carico massimo di un solaio. Il metodo consiste nel fare tutti calcoli, controllarli, accertarsi di non aver commesso errori, che le approssimazioni eseguite siano ammissibili. Giunto al risultato corretto… lo moltiplica per tre! È previsto che il solaio debba sostenere una carico massimo di due quintali per metro quadro? Benissimo, lo dimensioniamo in modo che possa reggerne sei!
Certo, è un criterio empirico. Ma eviterà che, se qualcuno metterà una cassaforte al centro della stanza o se, per festeggiare la fine del distanziamento sociale, farà un party in cui le persone saranno accalcate come in discoteca, il pavimento crolli. Sempre ammesso che quel pavimento non sia stato indebolito da interventi edilizi inopportuni, infiltrazioni di acqua, terremoti.
I cavi di una funivia sono sovradimensionati addirittura di 5 volte. Cioè, quando la cabina accoglie il numero massimo di passeggeri, il cavo dovrebbe essere in grado di sostenere uno sforzo fino a cinque volte superiore a quello da cui è sollecitato. Il numero magico precauzionale 3 è salito fino a 5, perché un conto è il cedimento di un solaio, con l’apertura magari di una crepa e, solo nel caso più funesto, un salto di tre metri. Tutt’altro è la caduta di una cabina piena di passeggeri da un’altezza vertiginosa. Invece di valutare le possibili cause dello strappo del cavo della funivia di Stresa, facciamo una considerazione matematica sui rischi, i rischi in generale. Vivere è un rischio. Qualunque cosa si faccia, qualunque attività si svolga, comporta un rischio. Quando ci alziamo dal letto la mattina dobbiamo essere consapevoli dei rischi a cui ci esporremo. Non per diventare paranoici, ma per prevenirli, o contenerne quanto possibile gli effetti. E allora che cosa facciamo, rinunciamo ad uscire di casa? Neanche questo sarebbe molto utile: la maggior parte degli incidenti che richiedono un intervento di pronto soccorso avviene tra le mura domestiche.
Io credo che il motivo dell’incidente della funivia di Stresa sia fondamentalmente una errata percezione e valutazione del rischio. Gli aspetti tecnici, pur importanti, sono subalterni.
Secondo quanto riferito da un dipendente dell’azienda che gestisce la funivia, il caposervizio Tadini, una volta gli disse: «Prima che si rompa il cavo ce ne vuole!». Questa frase incriminata, ripresa da giornali e siti internet come atto di accusa, di per sé è assolutamente condivisibile. Anzi di più, è la semplice constatazione di un dato oggettivo. Guai se così non fosse. Avremmo assistito a continui incidenti su tutte le funivie attualmente in funzione! Il problema però è quello che ho accennato prima. Percezione del rischio e valutazione delle conseguenze. Far circolare la funivia con i famigerati “forchettoni” inseriti, che – ormai lo sappiamo perfettamente – impediscono l’azione automatica di frenamento (nella rarissima ipotesi di rottura di un cavo) è come consentire il volo di un aereo senza paracaduti. Gli aerei sono i mezzi di trasporto più sicuri. La probabilità che cada un aereo in perfetta efficienza è così bassa da poterla considerare trascurabile? Assolutamente no! È qui l’errore. L’aereo senza fornitura adeguata di paracadute e degli altri dispositivi di sicurezza deve restare a terra e a nessun costo se ne deve autorizzare il decollo. La regola aurea di chi sa di statistica è questa: «Benché la probabilità di un certo evento sia bassissima, se le conseguenze del verificarsi di tale evento sono gravi, o peggio irreparabili, è imperativo considerare questa bassa probabilità come se fosse una certezza».
Eh sì, perché non accadrà oggi, non accadrà domani, ma se c’è una probabilità che accada, per quanto piccola, prima o poi questo evento si verificherà. È la legge empirica del caso. Pensiamoci un attimo. È la stessa cosa che facciamo quando compriamo il biglietto della Lotteria Italia. Perché lo compriamo, pur sapendo che se ne vendono a milioni e che la probabilità di vincere sarà minima? Perché il premio è lauto: con tutta probabilità non vinceremo, ma la ricompensa così ghiotta ci spinge tuttavia ad acquistarlo. Insomma, ciò che di solito sarebbe trascurato, va invece considerato con estrema cautela, quando le ripercussioni sono di eccezionale importanza.
Tanto più che esiste un teorema (delle probabilità congiunte) nel calcolo statistico che esprime la moltiplicazione della probabilità che si verifichi un evento anche raro, se si continua a ripetere più e più volte la prova. Se il forchettone fosse stato inserito solo una volta durante il funzionamento della funivia, la tragedia sarebbe stata conseguenza sì di un atto esecrabile, ma anche di una sfortuna colossale. Invece, da quanto inizia ad emergere, l’uso improvvido del forchettone era una prassi, o almeno un atto ripetuto. E, secondo il teorema delle probabilità congiunte, la tragedia – per quanto ancora molto improbabile – non sarebbe più stata poi così inverosimile. In fondo il teorema delle probabilità congiunte lo conosciamo tutti, in altra forma: tanto va la gatta al lardo…
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