C’era una volta… “Un re!” esclameranno i nostri piccoli lettori. No ragazzi, avete sbagliato: né re, né duca, ma solo un piccolo conte. Non un vero conte, ma solo uno che si chiama Conte e che però è buffissimo perché è come un personaggio di Italo Calvino, ma interpretato da Alberto Sordi. Intanto, la notizia vi avrà raggiunto, un tribunale amministrativo di Napoli, lette carte e atti ha detto che il signor Conte avv. Giuseppi (così fu ribattezzato da Donald Trump) non è nessuno, non sta a capo di niente, meno che mai del movimento cinque stelle che è un movimento tolemaico di stelle fisse e che non prevede intrusi, regolamento alla mano. Su questa faccenda non ficchiamo il naso vuoi per quel filìn di miasma, vuoi perché – come dice sul serio il comico Grillo dottor Beppe – le sentenze si rispettano.
Sia come sia, a quel poveraccio non gliene va bene nessuna e più lui si accanisce per esistere, più i fatti e le sentenze lo smentiscono. Lui più che candido è lucente. Come l’armatura, se ricordate, del Cavaliere inesistente di Calvino, l’unico fra i cavalieri di Francia che nel corso dell’ispezione di Carlo Magno non alza la celata come hanno già fatto tutti i suoi colleghi. Così Carlo Magno gli chiede perché voi non alzate la celata, cavaliere di Francia, e lui risponde da dentro il suo guscio metallico “Perché io non esisto, sire”. Cosa che non stupisce più di tanto l’imperatore che si limita a dire un boh, mah, guarda un po’, uno che non esiste, eppure chissà, andiamo avanti con l’ispezione. E così accade al piccolo Conte de La Pochette, premier d’Italia sconosciuto alle urne, rigettato dalle masse e che tuttavia ha il suo volenteroso Gurdulù. Chi è Gurdulù? Ma Marco Travaglio, naturalmente nei panni dello scudiero del Cavaliere inesistente. Per interpretare il caso umano del povero Conte inesistente servirebbe un attore come Alberto Sordi esperto del genere sordido, posticcio, rinnegato. Non che Conte possieda qualità negative tanto clamorose, anzi al contrario: è che nessuno gli dà retta benché lui sia sempre prontissimo a lasciare porte dischiuse, ormai campione olimpionico della disciplina del “Qui lo dico e qui lo nego”.
Ricorderete i suoi natali: un giorno va nel suo studio un avvocatino che di sera fa il Dj gli dice: Dotto’, le posso presentare i dottori Salvini e Di Maio che cercano un primo ministro prêt-à-porter? Essendo già in doppio petto, lui va ed è la scena in cui Mattarella lo riceve e resiste alla tentazione di mangiarselo on the spot con faccia sprezzante e gli affida prima un incarico di destra, poi uno di sinistra, poi però gli scoppia il Covid cosa che già richiede un certo IQ e lui non ci capisce e neanche alcuno dei suoi capisce, tutta quella storia di mascherine e banchi a rotelle ve la ricorderete e insomma di colpo la sua liquida vita diventa densa come uno zabaione e pure instabile come la maionese che se ci metti una goccia d’olio in più impazzisce e non la riacchiappi più neanche con la fecola di patate della nonna: l’unica per riacciuffarla è fare un’altra maionese usando la prima come base.
Ed è quel che fa il laborioso Conte della Pochette che affronta situazioni mai viste, fa un governo di destra, poi di sinistra, poi ne vuole fare un altro ma ecco che il treno della Storia (e di Bruxelles dove sono furiosi e angosciati per lo stato del nostro Paese) lo travolge e lo disarticola. Ed ecco che entra in scena sul fosco fin del morente e insignificante Conte il suo Gurdulù (Marco Travaglio nel cast) che ce la mette tutta per convincerci che il suo Conte è un campione del bene, capace di tutto salvo la consecutio temporum. E, isolato come mastro Geppetto nel ventre della balena attacca l’universo intero dal suo rifugio e maledice quelli che lui considera i nemici del valoroso signor Conte che sarebbero – sostiene Travaglio – i figli di papà, gli azzeccagarbugli (se hai fatto il classico) e ridagli ancora con altri figli di papà (ma chi c..zo sono?) e comunque tutti coloro che deridono l’amor suo. Roba eroica, vette di letteratura fantastica. Intanto, il vero Conte Joseph de la Pochette dava il peggio di sé nel salotto della Gruber che lo guardava con occhio cannibale, saltando lei stessa di palo in frasca e pretendendo dal poveretto l’impossibile.
E cioè che Conte si decidesse a dire sì o no, ovvero a pronunciare una, anche una sola frase purché dotata di senso comune, come ad esempio prendere un impegno concreto, dire qualsia una qualsiasi cosa vagamente all’altezza dello spropositato compito di capo. Capo di che cosa? Di un popolo non suo e che per di più non esiste esso stesso, essendosi trasformato in frana, e che comunque tanto lo rifiuta che ricorre ai tribunali pur di levarselo di torno e che trova senza ritardi un giudice che, letto e certificato, sentenzia: il soggetto in questione, il nominato Conte, per quanto Giuseppe o Giuseppi, non esiste. E non c’è stato niente da fare: come per la maionese di cui dicevamo all’inizio: se salta l’emulsione non la riacciuffi più anche perché la leadership non vuole pensieri e quel volto aggrondato, precisazionista, non lasciava intravedere nulla di buono in ripresa della compattezza.
Lei rinuncia alla destra? chiedeva la Gruber. Non saprei e dipende forse dalle circostanze ma certamente sì e certamente no, come tutti sanno, rispondeva lo sventurato. E ancora: ma è vero che lei ha meditato porcherie con Salvini durante le Quirinali e per far passare la innocente Belloni? Nulla. Lo sventurato precisava in modo indecifrabile e si è capito soltanto che lui il Conte Inesistente, a “centro sinistra” preferisce l’espressione “fronte progressista”. Capitò anche al Marchesino Eufemio del Belli che volle precisare che Rome è una città simile a Roma ed ebbe il premio, mentre il povero Conte non ebbe nulla se non la inacidita difesa del suo scudiero che seguitava a inveire contro i figli di papà e altre oscurità dovute certamente a cattiva digestione.