Addio a Sinisa Mihajlovic. L’ex difensore di Lazio, Sampdoria e Inter, e allenatore fino a pochi mesi fa del Bologna, non ce l’ha fatta. Dal luglio 2019 lottava contro la leucemia e da qualche giorno era ricoverato in gravi condizioni nella clinica Paideia  di Roma. Aveva 53 anni. Ad annunciare la sua scomparsa è stata una nota della famiglia: “La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic”.

“Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti”, le parole dei familiari. “Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto, in particolare la dottoressa Francesca Bonifazi, il dottor Antonio Curti, il Prof. Alessandro Rambaldi, e il Dott. Luca Marchetti. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato”.

Secondo quanto riferisce Repubblica, era ricoverato da domenica 11 dicembre presso la clinica Paideia, per un’infezione divenuta da subito grave a causa del sistema immunitario compromesso dalla malattia stessa e dalle pesanti terapie. Febbre alta e condizioni che sono precipitate nel giro di poche ore. Una evoluzione improvvisa e drammatica, visto che venerdì e sabato Mihajlovic parlava con gli amici dei suoi programmi futuri. Lunedì 12 le condizioni di Mihajlovic sono degenerate definitivamente: è entrato in coma farmacologico nel tardo pomeriggio.

L’ultima apparizione in pubblico è datata 1 dicembre 2022. Quel giorno Sinisa ha partecipato alla presentazione del libro dell’allenatore e amico Zdenek Zeman. Appariva sorridente, Sinisa Mihajlovic, si è seduto affianco al tecnico boemo e ha partecipato alla conferenza de “La bellezza non ha prezzo”.

Lo chiamavano in effetti “Sergente” per il suo carattere forte e anche ruvido. Un marcatore duro, dotato però di un piede sinistro raffinato: era uno specialista nel calciare le punizioni. Era nato il 20 febbraio del 1966 a Vukovar, in Croazia, ed era cresciuto calcisticamente nel Borovo. Prima alle giovanili e poi in prima squadra. Il padre era serbo e la madre croata: le vite della famiglia, come quelle di tutte le altre famiglie, legate alla guerra che ha dilaniato la Jugoslavia.

Con la Stella Rossa di Belgrado ha vinto una Coppa dei Campioni prima di arrivare in Italia. Da centrocampista si era specializzato nel ruolo di difensore centrale. Ha giocato con Roma, Sampdoria, Lazio e Inter. Ha vinto da calciatore due scudetti, quattro Coppe Italia e quattro trofei europei. Aveva intrapreso la carriera da allenatore dopo il ritiro nel 2006: all’inizio come vice di Roberto Mancini nell’Inter. In panchina ha continuato tra Bologna, Catania, Fiorentina, Nazionale serba, Sampdoria, Milan, Torino, Sporting Lisbona e di nuovo Bologna. Dalla società rossoblù era stato esonerato lo scorso settembre, sostituito dall’ex centrocampista Thiago Motta.

Trent’anni di calcio non esenti da controversie, su tutte l’amicizia con il criminale di guerra Zeljko Raznatovic noto in tutto il mondo come “La Tigre di Arkan”, incriminato per genocidio e atti di pulizia etnica, ucciso nella hall di un albergo di Belgrado nel gennaio del 2000. Dal 2005 era sposato con Arianna Rapaccione, romana ex soubrette televisiva. Cinque i figli della coppia: Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nicholas. Nel 1993 aveva avuto un altro figlio, Marko, da un’altra relazione. “Ho affrontato ogni partita come fosse la vita e la vita come fosse una partita”, ha raccontato.

A luglio del 2019 la scoperta della malattia: leucemia mieloide acuta. “Ho passato la notte a piangere e ancora adesso ho lacrime ma non sono di paura – aveva raccontato l’allora tecnico del Bologna – io da martedì andrò in ospedale e non vedo l’ora di iniziare a lottare per guarire. Ho spiegato ai miei giocatori che lotterò per vincere come ho insegnato loro a fare sul campo. Questa sfida la vincerò, non ci sono dubbi. La malattia è in fase acuta e aggressiva ma attaccabile, ci vorrà del tempo ma si guarisce”.

Un mese dopo, dopo tre ricoveri e un trapianto, era già in panchina. La sua battaglia aveva superato il pubblico degli appassionati di calcio: nel 2020 era stato ospite anche al Festival di Sanremo. Lo scorso marzo aveva fatto sapere in conferenza stampa di doversi di nuovo sottoporre a uun nuovo ciclo di cure per contrastare la ricomparsa della malattia. “Questa volta per usare un termine calcistico non entrerò in scivolata su un avversario, ma giocherò d’anticipo – le parole in conferenza stampa -. Questa malattia è molto coraggiosa nel tornare ad affrontare un avversario come me. Questo è il percorso della mia vita, a volte si incontrano delle buche improvvise, si può cadere e bisogna ritrovare la forza per rialzarsi”.

Si erano rincorse tra social e media negli ultimi giorni le notizie di un aggravamento delle condizioni di salute di Mihajlovic. Indiscrezioni trapelate ma mai confermate da fonti ufficiali. Questa mattina la conferma della famiglia all’agenzia di stampa.

Redazione

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