Due piste, tre corpi. Israele ha ucciso Sinwar, il macellaio del sette ottobre. Insieme a lui, due figure del vertice di Hamas che condividevano la latitanza, giù nei tunnel. Mahmoud Hamdan e Hani Hmaidan non erano affatto due guardie del corpo, come è stato riferito. Erano tra i dirigenti di Hamas: Israele ha fatto strike, ha buttato giù con un colpo solo l’intera prima fila dell’organizzazione terroristica che ha insanguinato il Medio Oriente. Il nucleo di vertice di Hamas era braccato da Shin Bet, pedinato, intercettato da tempo: sono stati eliminati mercoledì sera da una operazione combinata di intelligence e Tsahal, l’esercito di Gerusalemme.

Uccisione Sinwar, il depistaggio israeliano

Come? Dove? Circolano già due versioni. Quella ufficiale dice che lo scontro a fuoco sarebbe avvenuto casualmente: dei soldati hanno visto tre combattenti in divisa e hanno aperto il fuoco. Appena si diffonde la notizia, la località di Jabalia rimbomba sui rulli delle agenzie. È a Sud di Gaza. Sarebbe però un depistaggio, una falsa pista che lo stesso apparato di intelligence israeliano avrebbe messo in circolazione per allontanare gli sguardi indiscreti dal vero teatro operativo. La ricostruzione che siamo in grado di dare, sentite fonti israeliane di prima mano, è diversa: Sinwar si sarebbe nascosto a lungo un tunnel a sud di Gaza, nella zona di Tel Al Sultan – significa “Collina del sultano” – presso il valico di Rafah.

Il video degli ultimi istanti di Sinwar

L’altra ricostruzione: Sinwar in fuga verso l’Egitto

Il Riformista – con una intervista allo 007 Marco Mancini – lo aveva scritto sei settimane fa. Sinwar era dunque, come possiamo confermare, a pochi passi dal confine con l’Egitto: tutti così, gli eroi del terrore. Spediscono i loro miliziani sul fronte mentre imboccano, con pochi prescelti, la via della fuga. La ricostruzione che fa Massimiliano Boccolini a pagina 2 riporta con dovizia di particolari quanto Israele ha fatto sapere ai media, agli analisti. Abbiamo però il dovere di riportare anche la notizia che qualcosa di più, dietro, ci sarebbe. Sinwar era ricercato proprio in quella zona. E se è uscito allo scoperto è probabilmente proprio per mettersi in salvo verso l’Egitto. Tanto che per non essere respinto dai soldati egiziani, che non permettono passaggi di civili, indossava la divisa ufficiale di Hamas. Con qualche accorgimento. Aveva un cappello per impedirne il riconoscimento aereo (Israele possiede la ricostruzione dell’iride di Sinwar) e un foulard verde militare che ne copriva la bocca e il naso.

Lo scontro tra gli ultimi reduci di Hamas e l’Idf

Ritenendosi al sicuro, o comunque valutando il rischio come male minore, è uscito allo scoperto. Il primo fuoco è arrivato da un drone, che lo ha localizzato. In seguito, è piombata una pattuglia militare israeliana contro la quale Sinwar, accerchiato, ha aperto il fuoco. Si parla di un combattimento durato oltre mezz’ora. Al termine del quale Israele, ancora per mezzo di droni, ha bombardato il manufatto – una palazzina diroccata e disabitata nella quale il numero uno di Hamas si era rifugiato – che è crollato, uccidendo sul colpo l’artefice della carneficina del sette ottobre. Fuori Sinwar, eliminati in un colpo solo Hamdan e Hmaidan, Hamas è letteralmente in ginocchio. Il corpo è stato raggiunto dai militari israeliani solo dopo molte ore dalla sua eliminazione: se il suo Dna era schedato da tempo dall’intelligence, raggiungerlo rappresentava una notevole difficoltà.

Sul corpo di Sinwar otto bombe

Tutta l’area intorno al corpo di Sinwar era densamente minata di trappole esplosive e sullo stesso corpo del capo dei terroristi sarebbero state trovate otto tra granate e mine. Lo spostamento di mine non è atipico: muovendosi nei tunnel, i vertici di Hamas portano mine per chiudersi il passaggio alle spalle e creare degli sbarramenti sotterranei per non essere raggiunti. Neanche le due versioni di Israele sono atipiche. In una guerra ibrida, combattuta metà con le armi e metà con le informazioni, il controllo di queste ultime è di vitale importanza. Riorganizzarsi non sarà facile, per Hamas. Adesso vanno liberati gli ostaggi, la strada per la normalizzazione dell’area è lunga ma aver centrato, dopo il vertice di Hezbollah, anche il vertice di Hamas è un punto-partita che mette fuori gioco i proxys iraniani e consente a Israele, all’Occidente, al mondo libero di ritrovare il suo orgoglio, la sua forza e la sua speranza

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.