Il grande storico Jonathan Israel, forse il più importante studioso della Rivoluzione americana e di quella francese, a proposto di quei due grandi eventi che cambiarono il corso della storia parlò di “rivoluzione atlantica” a indicare la connessione profonda tra le due Rivoluzioni. Da allora tra Francia e Stati Uniti – in varie forme – sussistono dei nessi saldi, delle comuni condizioni, delle sorprendenti analogie. Le grandi idee francesi hanno fatto da sfondo alla Rivoluzione americana, la libertà americana ha salvato la Francia nel Novecento, fino al legame sessantottino tra Berkeley e la Sorbona, per dire solo dei fatti più eclatanti.

Oggi Stati Uniti e Francia hanno il medesimo problema: come ovviare alle défaillances del mondo democratico e cercare di “parare” l’offensiva reazionaria. Sono ore drammatiche per i democratici-liberali al di qua e al di là dell’Atlantico, messi davanti al pericolo di una sconfitta micidiale e come costernati: com’è possibile che si sia arrivati a questo punto, con un presidente democratico che davanti agli americani mestamente s’impappina e sbaglia le parole (altro che il sudore di Richard Nixon a confronto di un aitante John Fitzgerald Kennedy) e con un altro presidente ormai subalterna terza forza in Francia? Ci sarà tempo per capire, come si dice nel linguaggio dei social, cosa sia andato storto. Adesso è il momento di sapere se i democratici sapranno trovare gli anticorpi giusti al micidiale tandem Trump-Le Pen che si candida seriamente a governare l’Occidente.

Come fermare Le Pen

Le risorse a disposizione sono soprattutto due, e molto incerte. Per quel che riguarda la Francia, l’unica possibilità di fermare Marine Le Pen è impedirle di superare la maggioranza assoluta sperando di poter poi costruire una coalizione di governo larga ma chiusa a destra. Per arrivarci sarà necessario evitare una débâcle domani al primo turno e trovare la forza morale e l’intelligenza politica di giocarsela al secondo turno il 7 luglio con accordi democratici di desistenza e convergenze sul candidato non di destra. È difficile, molto difficile.

Come fermare Trump

Negli Stati Uniti, per evitare il disastro, il 5 novembre è necessario che – come nei più duri momenti cruciali – i “cervelli” del partito democratico, i giornali ad esso vicini, l’intellettualità prossima al partito di Clinton e Obama trovino tutti insieme un’alternativa a Joe Biden, un grande presidente che non ce la fa più, e naturalmente che egli lasci il campo passando alla storia come l’uomo che ha sconfitto Trump, ha resistito al tentativo di golpe, sostenuto l’Ucraina, migliorato l’economia del suo paese e infine lasciato spazio ad altri avendo dimostrato grandissimo senso dello Stato. Anche tutto questo è molto difficile.

Come non regredire

Già domenica sera (30 giugno) sapremo se Emmanuel Macron potrà dire che la sua chiamata del popolo è stata una buona idea o se viceversa l’Eliseo comincerà a traballare, mentre davanti ai democratici americani si spalancano quattro mesi che incideranno sui prossimi quattro anni almeno. Quel che è certo, sia detto senza isterismi, è che su queste due grandi democrazie si allunga l’ombra inquietante (anche per la contemporaneità dei fatti) della regressione con caratteristiche ignote in un mondo che oggi più che mai richiede razionalità ed equilibrio. Doti che chiaramente difettano a The Donald e che sono molto dubbi per quel che riguarda il Rassemblement National, per quanto esteriormente ripulito dai residuati pétainiani e antisemiti. Dunque, ancora una volta, Stati Uniti e Francia sono davanti al medesimo destino: in cerca di una rivoluzione, anche se con la lettera minuscola.