Un esercito di Prefetti tiene in ostaggio la democrazia. I cittadini votano? Poco importa: perché con l’insorgere di problemi di associazione mafiosa che interessano il consiglio comunale o la Giunta, magari non il sindaco ma questo o quel consigliere, ecco che cala la scure del Viminale. E arrivano i Prefetti, che però amministrano con un quarto del potenziale che avrebbero avuto i sindaci eletti. Le ragioni sono evidenti: il programma elettorale a cui si ispirano i primi cittadini, gli accordi di maggioranza, le relazioni con il tessuto socio-culturale del territorio sono tutti elementi che vengono a mancare. Quello del commissariamento dei Comuni è un altro tassello utile a mantenere e ad alimentare il “Pregiudizio di Stato”, con relativa ricaduta non solo politica ma economica. Anche in questo caso con il pretesto della presenza della mafia si creano opportunità economiche sulle spalle dei territori interessati, con ruoli ben remunerati per una vera e propria lobby del commissariamento. Come nasce questo meccanismo perverso?
La procedura
In Italia, nel caso in cui si ritenga che le decisioni di un ente locale siano influenzate da interessi criminali, il governo può commissariare l’ente. “Il procedimento prende avvio con una commissione di indagine prefettizia e, nel caso si emergano elementi concreti, si conclude per decisione del ministro dell’interno o del consiglio dei ministri”, recitano gli articoli 143 e seguenti del Testo unico sugli Enti locali. Una volta adottata la decisione è con decreto del presidente della repubblica che vengono effettivamente sciolti gli organi politici del comune in questione. Nel corso del 2022 sono stati disposti 11 commissariamenti per infiltrazioni della criminalità organizzata. Un dato sostanzialmente in linea con la media degli ultimi 30 anni, che vede una media di 12 comuni affidati alla gestione prefettizia ogni anno.
Il caso Foggia
Prima della minaccia che aleggia adesso su Bari, nel 2021, ci fu il caso Foggia. La seconda città della Puglia venne commissariata “ad oltranza”: scaduto il termine commissariale, Piantedosi fulmineamente accordò una proroga di sei mesi agli amministratori straordinari. Inizialmente Foggia doveva essere guidata da una commissione straordinaria di tre componenti nominati dal ministro dell’interno per un massimo di 18 mesi, prorogabili a 24. E proroga fu. C’era il governo Draghi, ma al Viminale lo stesso ministro. In servizio negli uffici di Palazzo di Città ufficialmente dal 26 agosto 2021, il lavoro della triade formata da Marilisa Magno, Rachele Grandolfo e Sebastiano Giangrande, che doveva terminare il 5 agosto 2022, per effetto della decisione presa dal Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro degli Interni Matteo Piantedosi, concesse alla commissione straordinaria sei mesi in più rispetto alla data di scadenza naturale del mandato fissato in precedenza al 5 febbraio. C’è del metodo, dunque. Una propensione naturale.
La difesa delle Commissioni
Nelle intenzioni del Viminale, si legge nella relazione annuale che ha consegnato il Ministro Piantedosi, si difende a spada tratta l’istituto: “Le commissioni, che nell’ultimo anno hanno amministrato una popolazione complessiva di 747.159 abitanti, hanno generalmente modificato l’organizzazione dell’apparato amministrativo volta a migliorare i servizi offerti alla cittadinanza e ad assicurare una corretta gestione della finanza locale, operando per il ripristino della funzionalità dell’ente commissariato affinché, al termine della gestione commissariale, l’amministrazione comunale possa ispirarsi ai principi di efficienza e legalità”. Tutto molto relativo. Le gestioni commissariali, nella pratica, portano avanti gli uffici con il caveat dell’ordinaria amministrazione: nessun guizzo è possibile. Nessun esperimento. Nessun investimento infrastrutturale coraggioso, nessuna iniziativa culturale straordinaria. Le ragioni per le quali i cittadini potrebbero ritrovare un senso nell’impegno civico vengono di fatto messe in fuga dal commissariamento.
Il commento di Zavettieri
Pierpaolo Zavettieri, sindaco di Roghudi e attivista di Mezzogiorno in Movimento ha affidato ai microfoni di Calabria Cult53 una serie di riflessioni: “Se vogliamo dircelo chiaramente non c’è alcun Comune che con una terapia commissariale straordinaria sia progredito socialmente ed economicamente, né tantomeno risulti bonificato amministrativamente. Prova ne è che dopo breve tempo gli stessi comuni ripiombano in un nuovo scioglimento, in più i commissari salvo rari casi difficilmente si impegnano ad interpretare il ruolo di guida della comunità, ma agiscono esclusivamente per soddisfare gli adempimenti obbligatori dell’ente, azzerando di fatto la democrazia. Questa legislazione speciale che dovrebbe operare a fini preventivi oggi è purtroppo basata essenzialmente sulla “cultura del sospetto” e sul principio del “più probabile che non”. “Questa impostazione – prosegue Zavettieri – accomuna ormai i tre principali cortocircuiti democratici: scioglimento dei comuni per mafia, interdittive antimafia delle aziende e utilizzo abnorme di custodia cautelare”. Non è solo il caso dei Comuni del Mezzogiorno sciolti per infiltrazione mafiosa. Ci sono realtà del centro-nord che sono state prese di mira dai Prefetti per l’arresto dei sindaci o per la loro messa in minoranza in Consiglio comunale. Se il Sindaco non trova un’altra maggioranza, ecco pronto un Prefetto che lo va a sostituire.
Il caso Lodi
C’è il caso di Lodi, per esempio. È il 2 maggio del 2016 quando l’allora sindaco di Lodi, Simone Uggetti, del Pd, viene arrestato in applicazione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Giudice per le indagini preliminari. È il 20 giugno 2023 quando Simone Uggetti, ormai dimentico della politica, viene assolto, dopo 7 anni e 4 giudizi, dalla Corte di Appello di Milano per particolare tenuità del fatto. Nel mentre, un Prefetto mandato dal Viminale ha provveduto all’ordinaria amministrazione, mandando all’aria tutti i progetti del sindaco dem. Addio candidature per i grandi eventi, addio ai progetti messi in agenda durante la campagna elettorale.
I due prefetti in due anni a Parma
Vicenda anche peggiore quella accaduta a Parma, dove alle dimissioni dell’apprezzato sindaco Pietro Vignali, civico di centrodestra, subentrò prima una Commissaria, poi un altro. Due Prefetti nello spazio di due anni che hanno cancellato le iniziative e le idee messe in cantiere da Vignali. Un danno per i cittadini, le famiglie, le imprese del Comune. Ma non secondo il Viminale. E non certo per i diretti interessati. L’esercito dei Prefetti mette insieme cifre ragguardevoli. Chi ha la fortuna di vedersi assegnare la gestione commissariale di un Comune si porta a casa in media 160.000 euro l’anno.
Il guadagno dei Prefetti
Molto, molto di più di quanto guadagnano i sindaci, sottoposti al tetto di legge che raramente raggiunge i 100.000 euro per i Comuni capoluogo. Dei Prefetti ha scritto il giornalista Stefano Varì: “Li vedi aggirarsi con passo felpato tra le austere mura ‘viminalizie’ con l’abito grigio d’ordinanza e il candido fazzolettino infilato nel taschino, i prefetti d’Italia sono (ancora) la voce e la lunga mano dei governi. Obbediscono alle direttive ed eseguono sul campo quel che il ministro (di turno) ordina. Sono anche ben pagati per farlo: tra indennità, rimborsi e premi vari arrivano a racimolare 160mila euro l’anno. Si muovono in silenzio, riferiscono sottovoce e agiscono senza annunci: usano carte bollate e ordinanze che, spesso, fanno più clamore di un colpo di cannone. Ma loro – talento innato e affinato nella Scuola superiore del ministero – sanno bene come nascondere la pistola fumante”. Leonardo Sciascia parlava dei “professionisti dell’antimafia”. È senz’altro il loro caso.