Il reddito di cittadinanza è stato al centro della contesa in campagna elettorale. E ora, alla vigilia della formazione del nuovo governo emerso dalle urne, sembra permanere tra gli argomenti più divisivi del confronto politico. La maggioranza di centrodestra sembra decisa a cancellare, o almeno a rimodulare, la misura introdotta nel 2018 per volontà del Movimento Cinque Stelle.

Dall’altra parte c’è proprio la formazione di Giuseppe Conte, pronta a difendere il reddito di cittadinanza con le unghie e con i denti e ad affiancargli il salario minimo. Col sostegno di ampi settori del centrosinistra. Risulta quindi quanto mai tempestivo il richiamo che la Caritas ha lanciato di recente con un suo Rapporto, di cui il Riformista ha riferito ampiamente. Significativo in quanto costruito sulla base delle notizie raccolte presso la sua utenza. Come dire: in presa diretta.

Emerge così, in barba a quello che doveva essere un periodo di rimbalzo della ripresa post covid, trainato dalla massiccia disponibilità di finanziamenti seguito al Pnrr, che lo scenario è viceversa precipitato a causa del combinato di guerra in Ucraina-sanzioni al gas russo-caro bollette-inflazione: una miscela esplosiva, che ha fatto registrare il record assoluto degli italiani che oggi vivono di stenti: 5 milioni e seicentomila, cresciuti del 7,7% proprio nel 2021. È quindi del tutto legittimo domandarsi se il reddito di cittadinanza può sostenere l’impatto con un disagio così vasto. La mia opinione è che non si possa fare a meno di misure di contrasto alla povertà, specie in questo prolungato passaggio reso critico dal conflitto alle porte dell’Europa.

Ma il reddito – lo ha affermato il presidente della Cei, cardinale Matteo Zuppi, a commento del Report – è una misura che è stata percepita da 4,7 milioni di persone, ma ha raggiunto poco meno della metà dei poveri assoluti. Ciò detto resta un tema dirimente, che vorrei formulare in forma di domanda. Che cosa espone il Rdc alle più aspre critiche? Il fatto che a esso non è seguito né un sistema di controlli adeguato, né un legame forte tra percettori della misura e le politiche di avviamento al lavoro. In questa prospettiva serve a mio avviso una piattaforma online che favorisca l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, superando le inefficienze del sistema, mai decollato, basato sui navigator.

Mi spiego meglio. I percettori del reddito di cittadinanza potrebbero essere destinati a lavori socialmente utili, come accade in alcuni Comuni, oppure offrire una serie di servizi in ambito privato. È vero, molti di loro tendono a rifiutare impieghi non adeguatamente retribuiti preferendo incassare il sussidio alla fine del mese. Altrettanti, però, sono disponibili e non attendono altro che una chance, scrollandosi dall’accusa di parassitismo. Per superare l’impasse sarebbe utile una piattaforma sulla quale i percettori di reddito di cittadinanza potrebbero registrarsi indicando le proprie competenze e disponibilità. Sulla stessa piattaforma le aziende e le famiglie potrebbero indicare le loro esigenze in termini di servizi, con possibilità di contattare direttamente e ingaggiare (in completa trasparenza e nel pieno rispetto di tutte le normative) i percettori di reddito di cittadinanza, magari con l’obbligo di assumerli dopo un periodo di prova.

Un network così strutturato, molto simile a Uber e ad altri portali di intermediazione che al giorno d’oggi popolano il web, avrebbe il pregio di incrociare la domanda e l’offerta di lavoro in modo molto più rapido ed efficace di quanto non siano finora riusciti a fare i navigator. È la semplicità difficile a farsi? Forse. Ma se c’è la volontà politica, ogni ostacolo è superabile. Serve anzitutto acquisire la volontà politica di dar vita alla “Uber per il Rdc”. Nel quadro delle norme definite dalle istituzioni pubbliche, potrebbero anche essere gli enti bilaterali a gestire la piattaforma, tenuto conto che in essi sono pariteticamente rappresentati le associazioni datoriali e le sigle sindacali.