La scomparsa
Gli ultimi mesi di Michela Murgia e le battaglie con cui ha inseguito il cambiamento
Il femminismo, il ruolo della famiglia e le battaglie sociali, l’antifascismo, il mondo del lavoro e infine la malattia nei suoi insegnamenti: “Non aspettate di avere un cancro per lasciare un’eredità”
Il conto alla rovescia, per chi l’ha sempre seguita, è partito dalla diagnosi di cancro terminale resa pubblica il 5 maggio. Notizia condivisa con i suoi lettori in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, “Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi”. Una battaglia affrontata apertamente e senza paura, in cui ha esortato tutti a non aspettare una diagnosi tumorale per abbracciare una vita più aperta, incoraggiando ad affrontare il cambiamento e a prendersi il tempo per adattarsi e crescere.
Ha vissuto intensamente Michela, incanalando la sua energia in una presenza mediatica risonante. L’Italia ha conosciuto la sua potenza nel panorama mediatico: una personalità esplosiva alimentata da un’irrefrenabile vitalità, la quale ha guidato le sue azioni, anche dopo l’inizio della malattia. È stata eccessiva in ogni aspetto della sua vita, incluso l’orgoglio per la sua identità etnica sarda. È cresciuta in famiglie diverse ed ha sperimentato la crescita attraverso l’amore e l’attenzione.
Si è aperta al web, al dialogo con i lettori, gli ascoltatori, alle battaglie sociali, dal femminismo all’antifascismo, utilizzando il suo stile provocatorio e distintivo per affrontare le questioni più urgenti del decennio, di recente guidate dalla sua malattia: “Io sto vivendo il tempo della mia vita adesso. Mi sveglio la mattina e dico tutto, faccio tutto, tanto che mi fanno, mi licenziano? Questa libertà voglio usarla, per lasciare un’eredità. Vi dico: non aspettate di avere un cancro per fare la stessa cosa. Perché se ragionassimo tutti nello stesso modo, probabilmente non avremmo i fascisti al governo”.
In principio ha messo in luce i il comportamento delle aziende sui dipendenti dei call center, tra le sue prime occupazioni. E ogni professione l’ha forgiata: era stata anche insegnante di religione nelle scuole, ma è stata soprattutto autrice, e opinion leader.
Poi il nuovo concetto di famiglia, e le sue rivoluzioni nel privato. La sua “Queer family”: niente legami di sangue ma un nido d’amore “In cui le relazioni contano più dei ruoli” e dove i rapporti “superano la performance dei titoli legali e limitano le dinamiche di possesso”. All’interno di questa famiglia allargata ci sono quattro ragazzi che hanno condiviso la vita con Murgia per vent’anni, incluso il più giovane, Raphael. Con la madre di Raphael, Claudia, Murgia ha costruito una famiglia omogenitoriale fondata sull’affetto e la cura.
Tra i suoi atti più controversi il matrimonio con Lorenzo Terenzi annunciato dalla stessa scrittrice con un post su Instagram: “Qualche giorno fa io e Lorenzo ci siamo sposati civilmente. Lo abbiamo fatto ‘in articulo mortis’ perché ogni giorno c’è una complicazione fisica diversa, entro ed esco dall’ospedale e ormai non diamo più niente per scontato. Lo abbiamo fatto controvoglia: se avessimo avuto un altro modo per garantirci i diritti a vicenda non saremmo mai ricorsi a uno strumento così patriarcale e limitato”. L’obiettivo di contribuire al cambiamento e sostenere un approccio più inclusivo al matrimonio.
Un percorso finale scandito dalla salute in deterioramento ma in cui Murgia rimane attiva, specialmente sui social media, per aggiornare il suo pubblico sul suo stato di salute, per mostrarsi e mostrare che seppure non c’è un senso dietro il male, in un conto alla rovescia verso il nostro ultimo giorno niente può essere più lasciato al caso. Ha inseguito il cambiamento, lo ha ispirato e guidato. E infine è cambiata.
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