Neutralità dell'Alleanza
Come Trump può cambiare pelle alla Nato: pace ibrida in Ucraina e pressione sulla Cina nel Pacifico
Mentre la candidata Harris gode di un leggero e temporaneo vantaggio nei sondaggi, le cancellerie continuano a interrogarsi su cosa può riservare il candidato Trump. Sarebbe opportuno – come hanno fatto il governo tedesco e britannico – giocare una simulazione sullo scenario di un presidente repubblicano, perché la seconda ha rivelato come e quanto Trump potrebbe danneggiare e mettere in pericolo l’esistenza stessa della Nato.
Una simulazione, fatta per esempio a Roma, dovrebbe tener conto di due fattori che mettono a rischio le ipotesi di continuità tanto fra i repubblicani che fra i democratici. Il GOP (Grand Old Party) non è un monolite perché diviso tra i “rivoluzionari” del MAGA (Make America Great Again), i moderati che hanno nostalgia dei bei tempi della prima presidenza Trump, i libertari-liberoscambisti di destra e i nazional-conservatori come la Heritage Foundation. Qualche giorno fa tutto il programma politico di questa fondazione è stato liquidato come estremo da Trump in un comizio: un segno di moderazione? Sarebbe ideale se Trump, come un tempo Gheddafi in Libia, sapesse giocare tra le diverse fazioni in modo da condurre una sua politica. Quello che piuttosto si teme è che il suo carattere impetuoso lo porti a seguire i suoi istinti politici privilegiando il culto del capo, senza curarsi troppo dell’unità del partito o della rete di alleanze internazionali.
I dem sono ancora più divisi tra progressisti, estrema sinistra, centrosinistra e arcobaleni vari; dopo Biden, l’idea che Harris segua pedissequamente la linea è piuttosto irrealistica perché è di una cultura e generazione assai differenti, ma vedremo presto. Certamente entrambi i candidati vogliono ricostruire la società americana, uscita frullata dalle disparità sociali favorite dalla finanziarizzazione dell’economia e dalla globalizzazione, e vogliono affrontare la Cina con approcci diversi. Il resto è molto secondario.
L’arrivo di Trump per la Nato non dovrebbe essere una sorpresa, specie per il nuovo segretario generale Rutte “Mr. Teflon”, ma le scelte che annuncia rischiano di essere divisive. Sull’Ucraina viene privilegiato l’interesse nazionale rispetto a una guerra costosa e lontana, pensando di chiudere la partita con una pace ibrida “Monaco-Kabul”: qualche territorio ucraino, la neutralità Nato in cambio della fine delle ostilità, una garanzia di sicurezza russo-americana e magari un ingresso nell’Ue, ignorando largamente i 10 punti di Zelensky, per quel che valevano. Questo creerebbe seri problemi al gruppo di circa 15 paesi che mettono Kiev al di sopra di tutto nell’Alleanza perché avvertirebbero la “pace” come una sconfessione e una riapertura ad Est che avrebbero voluto sepolta per sempre.
La Nato continuerebbe? Ci sono scenari estremi, tipo gli USA che escono dalla struttura militare (restando in quella politica, come De Gaulle), ma quello più insidioso è la continuazione di una certa trascuratezza, magari senza le parole diplomatiche di Biden. Il problema è che un’Europa divisa, anche se paga di più, impedisce un credibile rapporto transatlantico ed è da almeno vent’anni che le sponde dell’Atlantico si allontanano come faglie continentali, anche perché gli USA hanno cambiato priorità politiche ed economiche.
Nel Pacifico Trump aumenterà seriamente la pressione sulla Cina con una nuova tornata di guerre tariffarie e azioni di taglio dei legami economici, ma potrebbe far sentire anche su Taiwan il suo tradizionale mercanteggiamento sulla protezione militare: no protection without taxation, come ha fatto e probabilmente rifarà con gli alleati europei nella Nato. Questo creerà degli shock nell’economia globale perché sinora i legami economici tra Cina e resto del mondo sono forti perché d’interesse reciproco, aumentando i debiti statunitensi, specie se aumenteranno le spese militari.
Trump rischia allora di non avere sufficienti risorse per il MAGA interno, di alienarsi molti paesi amici (senza per questo avere un sostegno forte contro la Cina), di essere sotto pressione per il debito accumulato e di ritrovarsi con uno strumento militare troppo forte per la sua tradizionale avversione a interventi e guerre. Con la prospettiva dell’egemonia mondiale a rischio, la ricostruzione interna incerta, un’opinione pubblica nazionale sinofobica, potrebbe bastare un banale incidente militare per scatenare una guerra mondiale che farebbe impallidire tutte le precedenti.
Alessandro Politi – Direttore della Nato Defense College Foundation
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