La crisi dell’economia
Commercianti in ginocchio: senza incassi e tartassati dalle tasse
Il virus avanza e rade al suolo le attività commerciali che, dopo un anno di pandemia, sono ormai allo stremo. I fatturati di bar e ristoranti sono inferiori anche dell’80% rispetto al 2019, eppure c’è un paradosso: gli incassi sono pari a zero ma le tasse bisogna continuare a pagarle. Con quali soldi non si sa. È per questo che Confesercenti Campania, attraverso il suo presidente Vincenzo Schiavo, chiede un anno bianco, una sospensione del pagamento delle tasse, dei fitti, dei tributi locali e regionali e anche delle cartelle esattoriali. Altrimenti per molti imprenditori non ci sarà scampo: o falliranno o saranno costretti a vendere, con il rischio di cedere le rispettive attività alla malavita organizzata che agisce nell’ombra ed è sempre pronta a sfruttare certe occasioni.
A Napoli, tra due mesi circa, 5mila titolari di pubblici esercizi saranno chiamati a pagare la Tari (la tassa sui rifiuti). Ognuno di loro verserà la somma annuale a seconda della grandezza del locale: la cifra, per i ristoranti più grandi e accorsati, supera anche i 25mila euro. Generalmente si parte da una base di 16,9 euro a metro quadro per la quota fissa e di 20 euro e 9 centesimi per la quota variabile (che cambia in base alla quantità di spazzatura prodotta dal locale). Secondo un’indagine condotta da Fipe Campania e Confcommercio Napoli, due terzi dei commercianti napoletani non pagherà l’imposta perché ormai senza soldi in cassa. «Gli imprenditori partenopei, in questo momento, non possono pagare le tasse – spiega Vincenzo Schiavo – Non perché non vogliano ma perché non c’è la domanda, le persone non spendono, l’economia del nostro territorio è ferma. Molte aziende sono chiuse e migliaia di lavoratori sono in cassa integrazione. Siamo tutti più poveri e non è immaginabile che il 30 aprile, quando termina lo slittamento del pagamento della Tari deciso dal Comune, tutto ritorni alla normalità. Tra meno di sessanta giorni è impensabile che la situazione economica sia migliore di oggi». E il futuro non si prospetta roseo. All’orizzonte c’è la possibilità di tornare in zona rossa, il che sarebbe l’ennesimo colpo per le attività commerciali.
La Tari non è la sola tassa che grava sulle attività commerciali. Gli imprenditori dovranno pagare il 24% di Ires in base all’utile della società, il 5% di Irap (tassa sulle attività produttive) e il 10% di Imu sul valore dell’immobile. «Se mettiamo insieme tutte queste tasse – prosegue il presidente di Confesercenti Campania – arriviamo già al 43-45% dei costi aziendali, escludendo l’Iva. Includendola, e parliamo della più alta d’Europa, si aggiunge un altro 22% e si salta al 65%. Questo vuol dire che in Campania, ma anche in Italia, abbiamo una fotografia impietosa. Gli imprenditori titolari di una società di servizi, di intermediazione, di agenzia insomma, che viaggiano sul 10% di marginalità e di guadagno sul fatturato, per avere 100mila euro di utili all’anno devono fatturare qualcosa come un milione. Di questi 100mila ne entrano 56mila di utili, 35mila se paga l’Iva. Se poi c’è anche il pagamento del fitto parliamo di un altro 20% di spese, dimezzando dunque la quota dei 35mila euro. Se invece parliamo di un’industria o di una società di produzione, dove c’è il 20% di marginalità, i 100mila euro di utili si guadagnano su 500mila euro di fatturato».
In Campania, quindi chi vuole investire si ritrova in una gabbia che oscilla tra il 43 e il 45% di tasse cui si aggiunge il 22% di Iva: ne vien fuori che i nostri imprenditori pagano il 65% di tasse. Il socio di maggioranza è lo Stato, il 35% va invece all’esercente che è, di fatto, socio di minoranza. A questo si aggiunge il rischio che ogni imprenditore, piccolo o grande che sia, assume nel momento in cui avvia l’attività. Insomma, tra tasse alle stelle, enormi rischi di impresa e burocrazia farraginosa che spaventa anche molti investitori esteri, Napoli e il resto della Campania perdono un enorme potenziale di sviluppo. «Per questo il nostro Paese non ha attrattiva per gli investitori esteri, perché resta il più caro – conclude Schiavo – Nonostante le bellezze della nostra regione e di Napoli, il costo altissimo di tasse fa scappare gli imprenditori esteri, che in genere devono sopportare costi fissi più bassi dell’80% per avviare una società e del 60 per quanto riguarda le tasse».
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