Il commento
Commissione di accesso a Bari, lo strapotere dei prefetti contro i principi dello Stato di diritto: quando la normativa è arbitraria
Non ha usato mezzi termini il Sindaco di Bari, nonché presidente nazionale dell’ANCI, Antonio Decaro: definendo un “atto di guerra” l’invio della commissione di accesso antimafia presso il suo comune, il primo cittadino ha inteso attribuire una matrice prettamente politica ad una iniziativa che, salvo rarissime eccezioni, conduce inevitabilmente allo scioglimento del consiglio comunale e all’insediamento della Commissione Straordinaria.
A rendere giustificate le preoccupazioni espresse nel corso della conferenza stampa appositamente convocata, c’è senza dubbio il patrimonio di conoscenze sull’argomento accumulato da Decaro da quando, nel 2016, ha assunto la guida dell’associazione dei comuni italiani. Solo negli ultimi otto anni sono stati, infatti, ben 117 i decreti che hanno spazzato via le amministrazioni elette dai cittadini a causa di fenomeni di infiltrazione o condizionamento mafioso e, molto spesso, tali provvedimenti sono stati assunti in assenza di un diretto coinvolgimento degli organi politici in inchieste antimafia.
La posizione del Ministero dell’Interno
Ed è proprio la consapevolezza del fatto che nemmeno l’estraneità del Sindaco o della Giunta alle vicende illecite attenzionate dalle forze dell’ordine può impedire lo scioglimento dell’ente a spiegare il tono, a tratti drammatico, delle dichiarazioni di Decaro, dichiaratosi pronto anche a rinunciare alla scorta.
Il Sindaco di Bari sa bene che, nei tre decenni trascorsi dall’introduzione della norma che consente il commissariamento per mafia di un comune, il continuo potenziamento degli strumenti di contrasto alle infiltrazioni criminali nella pubblica amministrazione, ha finito per dilatare oltre misura i poteri prefettizi ed a rendere del tutto evanescenti le situazioni che possono dare luogo allo scioglimento.
La posizione del Ministero dell’Interno è ormai chiara: il commissariamento per mafia è una misura di prevenzione e, dunque, può essere disposta ogni qualvolta le autorità di pubblica sicurezza ravvisino il “più probabile che non” pericolo di infiltrazione o condizionamento mafioso.
Bari come Roma Capitale?
D’altro canto, è proprio l’enorme margine di discrezionalità riconosciuto agli organi ministeriali a spiegare la marcata caratterizzazione politica che Decaro ha voluto imprimere alla propria reazione. Probabilmente, a Bari si spera di replicare quanto accaduto all’epoca dell’inchiesta “Roma Capitale”, quando – grazie ad un compromesso raggiunto in seno al Comitato Provinciale per l’ordine e la sicurezza con l’avallo dal Governo Renzi – all’amministrazione capitolina venne inaspettatamente risparmiata l’onta di un commissariamento che, grazie all’enfatizzazione dei risultati delle indagini e all’enorme battage mediatico, sembrava inevitabile.
Di certo, in questo momento i vertici dell’ANCI staranno riconsiderando la posizione piuttosto distratta che, negli ultimi anni, hanno mantenuto sulla questione della “sospensione della democrazia” provocata dal commissariamento per mafia dei Comuni, spesso in dissonanza con le istanze provenienti dalle sezioni territoriali più direttamente interessate al fenomeno che, invece, si battono per una radicale riforma di una normativa, già di per sé pessima, che viene interpretata ed applicata in maniera arbitraria ed illiberale. Ed in tal senso, ha perfettamente ragione il senatore Rampelli di FdI quando afferma che «la legge è fallace e va emendata. È sufficiente, infatti, che nell’amministrazione ci sia un solo dipendente con relazioni con associazioni criminali per far sì che si avvii la procedura che prima istituisce una commissione d’accesso e poi si valuta l’eventuale commissariamento».
Ecco, anziché teorizzare complotti, sarebbe forse più utile a Decaro se il PD si facesse promotore di una seria riflessione sulla compatibilità dello “strapotere” di cui godono i prefetti con i principi dello Stato di Diritto.
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