I veti tra popolari e socialisti stanno sfuggendo di mano
Commissione Ue in stallo, von der Leyen sempre più instabile: l’ombra delle dimissioni e l’ipotesi Supermario Draghi
La Commissione europea è zoppa in partenza, perfetta reincarnazione dell’orchestra che suona sul ponte del Titanic. Una scena straziante e che per certi versi sembra descrivere le sorti dell’esecutivo Ue che, di questo passo, rischia seriamente di affondare. La vittoria di Donald Trump aveva chiamato a raccolta tutti gli europeisti. «È il momento di unirci e compattare il fronte», dicevano. Ma in pochi giorni i dialoghi nella maggioranza sulla squadra di Ursula von der Leyen si sono trasformati in una polveriera, un ring dove regolare conti. E vai con i veti incrociati. Il risultato? Uno stallo pericoloso dagli esiti imprevedibili. Con l’ombra di un passo indietro della presidente che getterebbe l’Unione in una crisi profondissima. E nei palazzi si torna a sussurrare il nome di Mario Draghi come piano B.
Lo scenario limite fino a poche ore fa sembrava impossibile, ma ora nei corridoi di Palais Berlaymont non si esclude quella che viene definita la prospettiva più nera. «Non è fantapolitica. Se Ppe e S&D non sotterrano l’ascia di guerra si va a sbattere», avverte un esponente del centrodestra vicino a Raffaele Fitto. Rigorosamente a taccuini chiusi. Sì, perché adesso è il momento delle mediazioni. I pontieri sono in campo per provare a ricucire lo strappo. Il premier greco Kyriakos Mītsotakīs e quello polacco Donald Tusk vogliono scongiurare il peggio. Paolo Gentiloni inietta una buona dose di ottimismo: «Il mondo non aspetta. Sono convinto che ci siano le condizioni perché la nuova Commissione europea entri in funzione, come è necessario, il primo dicembre». Anche Fulvio Martusciello, capogruppo di Forza Italia a Bruxelles, si dice tranquillo: «Non vedo drammi sulle polemiche attorno a Fitto e Ribera, sono questioni che si risolveranno. Basta attendere».
Rassicurazioni che però stonano con mugugni, perplessità e timori. Sempre più forti, sempre più evidenti, sempre più inevitabili. La sensazione è che tutto sarà congelato fino al 20 novembre, quando Teresa Ribera parlerà al Parlamento spagnolo sull’alluvione che ha devastato Valencia. Per i popolari spagnoli tutto resterà fermo fino al passaggio di fronte alle Cortes. Poi, teoricamente, si dovrebbe passare all’approvazione delle nomine dei vicepresidenti. La data da cerchiare in rosso è mercoledì 27 novembre, quando il Parlamento europeo dovrebbe votare sulla prossima Commissione.
Per evitare la resa dei conti nel voto segreto si valutano due strade. La prima potrebbe essere quella di togliere una vicepresidenza esecutiva nella speranza di sbloccare le votazioni. E il sentiero porterebbe proprio a Ribera, che a quel punto vedrebbe sfumare l’incarico per la Transizione. La seconda possibilità – più complicata e tortuosa – potrebbe essere il passo indietro dell’ungherese Olivér Várhelyi, commissario designato per la salute e il benessere degli animali, bloccando però così l’Unione almeno fino a gennaio per la scelta del sostituto.
La domanda che agita Bruxelles resta la stessa: cosa accadrebbe se dovessero fallire anche le mosse della disperazione? Il tempo stringe e, senza un accordo tra Ppe e S&D, a rischiare davvero è von der Leyen. Con il passare delle ore la sua poltrona è sempre meno salda. Lo scontro in maggioranza sta per sfuggire pericolosamente di mano e il baratro è una prospettiva concreta. Ursula potrebbe provare un nuovo giro di colloqui per allontanare il De profundis. Altrimenti dovrebbe prendere atto dell’implosione della maggioranza e trarne le irrimediabili conseguenze. Fino a farsi da parte.
La carta segreta? Mario Draghi, fresco del rapporto sul futuro della competitività europea che è l’ultimo appiglio per non soccombere. I chiacchiericci sono già partiti: l’ex governatore della Bce – riserva preziosa – gode di un apprezzamento trasversale nei gruppi e nei paesi, e un cambio del genere alla guida della Commissione potrebbe superare resistenze e ideologie reciproche. L’Europa farebbe bingo: l’esecutivo potrebbe finalmente partire e soprattutto sarebbe Supermario a trasformare il potenziale delle sue proposte in realtà tangibile. Diventerebbe l’architetto chiave del futuro economico e politico di una Ue che, oggi come non mai, necessita di una leadership salda e autorevole.
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