Compassione e ammalati: stiamogli accanti

E così una scoperta l’abbiamo fatta: siamo “neo-pelagiani” tutte le volte che pretendiamo di pensare solo a noi stessi, tutte le volte che ci pensiamo autonomi dal resto della società e del mondo, senza riconoscere che nel più profondo siamo collegati a Dio e agli altri. Un certo “neo-gnosticismo” presenta oggi “una salvezza meramente interiore, rinchiusa nel soggettivismo”, che “auspica la liberazione della persona dai limiti del suo corpo, soprattutto quando fragile e ammalato”. Il documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, presentato ieri, sulla “cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita”, non soltanto ribadisce la “dottrina”: no all’eutanasia ma anche no all’accanimento terapeutico; no al suicidio assistito e sì alle cure palliative a patto che non sia un modo surrettizio di eutanasia. Ed ha inoltre un importante accenno all’accompagnamento e alla cura in età prenatale e pediatrica.

Ma il documento è di più. Inquadra le tematiche del fine-vita dentro una lettura del contesto culturale contemporaneo. E mette l’accento su tre aspetti che ci avrebbero fatto perdere il senso dell’importanza della vita umana. Primo: se la qualità della vita appare povera, allora si fa strada l’idea che sia lecito mettere fine alla vita stessa. È il ragionamento della “qualità” della vita tipico di coloro che abitano contesti privilegiati e ricchi. Se fosse diffuso, i poveri sarebbero sempre e per definizione a favore dell’eutanasia. Secondo: mettere fine alle sofferenze sarebbe compassionevole, in base ad un’idea sbagliata di compassione. Infatti, ripete il documento, la vera compassione non è dare la morte ma stare accanto. E terzo: il nostro “neopelagianesimo”: l’individualismo, in altri termini, ci renderebbe padroni assoluti delle scelte, anche di mettere fine all’esistenza. E dimentichiamo che la vita è relazione.

La parola chiave del documento è proprio “relazione” tra esseri umani – ribadita dai quattro relatori in conferenza stampa: il cardinale Ladaria, il vescovo Morandi, i professori Gambino e Pessina. Dobbiamo accompagnare la morte naturale, non affrettarla, non introdurre principi eutanasici. Anche nel paragrafo in cui si riconosce l’importanza delle cure palliative – uno dei temi forti della Chiesa, dal Catechismo al Magistero di papa Francesco – si mette però in conto il pericolo che in alcune legislazioni siano introdotte come una sorta di cavallo di Troia per far passare l’eutanasia, ammantata dal pretesto di togliere dolore e sofferenza. È un tema assia importante e se è vero che alcune legislazioni corrono questo rischio (Usa, Canada, Australia) il documento non mette abbastanza in chiaro che la definizione internazionale di cure palliative, validata dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e dalle organizzazioni internazionali collegate, espressamente dice che mai ed in nessun caso le cure palliative avranno lo scopo di abbreviare l’esistenza. E tant’è.

Per il resto, recita la Lettera Samaritanus Bonus, «la Chiesa ritiene di dover ribadire come insegnamento definitivo che l’eutanasia è un crimine contro la vita umana perché, con tale atto, l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente». «Coloro che approvano leggi sull’eutanasia e il suicidio assistito – aggiunge – si rendono, pertanto, complici del grave peccato che altri eseguiranno. Costoro sono altresì colpevoli di scandalo perché tali leggi contribuiscono a deformare la coscienza, anche dei fedeli».
L’eutanasia, spiega l’ex Sant’Uffizio, «è un atto intrinsecamente malvagio, in qualsiasi occasione o circostanza». Tale dottrina è fondata sulla legge naturale e sulla Parola di Dio scritta, è trasmessa dalla Tradizione della Chiesa ed insegnata dal Magistero ordinario e universale», ribadisce, e «qualsiasi cooperazione formale o materiale immediata ad un tale atto è un peccato grave contro la vita umana». «Dunque, l’eutanasia è un atto omicida che nessun fine può legittimare e che non tollera alcuna forma di complicità o collaborazione, attiva o passiva», aggiunge.

“Inguaribile” non è mai sinonimo di “incurabile”. È l’idea di fondo alla base del testo, con cui la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede – dinanzi alle iniziative legislative in vari Paesi sull’argomento – ribadisce i principi dottrinali e magisteriali contro l’eutanasia e il suicidio assistito, considerando che «il valore inviolabile della vita è una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico». Secondo l’ex Sant’Uffizio, un ostacolo «che oscura la percezione della sacralità della vita umana è una erronea comprensione dalla ‘compassione’. Davanti a una sofferenza qualificata come ‘insopportabile’, si giustifica la fine della vita del paziente in nome della ‘compassione’». Per non soffrire è meglio morire: è l’eutanasia cosiddetta ‘compassionevole’. Sarebbe compassionevole aiutare il paziente a morire attraverso l’eutanasia o il suicidio assistito. In realtà, la compassione umana non consiste nel provocare la morte, ma nell’accogliere il malato, nel sostenerlo dentro le difficoltà, nell’offrirgli affetto, attenzione e i mezzi per alleviare la sofferenza”. Ecco quindi che la Chiesa “sente il dovere di intervenire in tale sede per escludere ancora una volta ogni ambiguità circa l’insegnamento del Magistero sull’eutanasia e il suicidio assistito, anche in quei contesti dove le leggi nazionali hanno legittimato tali pratiche”.

Comunque a pensarci bene l’idea del Samaritano (‘buono’ è un’aggiunta nostra, il Vangelo parla solo di un Samaritano) è attinente a quanto abbiamo visto all’opera nel prodigarsi di medici, infermieri, operatori sanitari, nei mesi scorsi a favore dei malati di Covid-19. E se è vero – come è stato ribadito in conferenza stampa – che per la Chiesa a fondamento di ogni ordine giuridico ci deve essere il valore della persona e nessuno può disporre della propria vita e di quella altrui, allora – sembra dire la Congregazione per la Dottrina della Fede – o ci sarà un cambiamento nella visione antropologica dell’umanità (prendiamoci cura degli altri e di noi stessi come abbiamo fatto nel lockdown) oppure ricominceremo da capo come nulla fosse stato.