Il dibattito sui conti di Palazzo San Giacomo
Comune e partecipate in affanno, ma il dissesto non sarà mai la soluzione
Torna la riflessione sui conti del Comune di Napoli e sullo stato delle partecipate, questa volta a firma dell’ex assessore al Bilancio Michele Saggese, persona capace ed esperta. L’allarme è più che legittimo perché la situazione è drammatica e insostenibile e non intendo in alcun modo fare pensare il contrario. Vorrei però al tempo stesso chiarire alcuni punti, offrire un mio contributo di analisi e, perché no, avanzare anche qualche proposta da consegnare alla nuova Giunta cittadina.
La prima questione riguarda Abc, l’azienda speciale concessionaria del ciclo integrato delle acque della città. Saggese parla di «Abc, riportata nell’alveo della macchina comunale con il falso mito dell’acqua pubblica e che oggi non produce più utili dopo aver registrato forti perdite negli ultimi anni». Pur volendo tralasciare il fatto che per quel falso mito nel 2011 si sarebbero favorevolmente espressi 27 milioni di italiani, non si può non rettificare l’affermazione inesatta secondo la quale Abc non faccia più utili e abbia prodotto forti perdite negli ultimi anni. Al contrario, i bilanci (pubblici e facilmente consultabili) degli ultimi dieci anni non presentano perdite e quelli da me approvati dal 2014 al 2018 conseguono tutti apprezzabili risultati di esercizio.
Più in generale, è impossibile negare che il disavanzo al 2020 ammonti a 2,7 miliardi e che le restanti partecipate siano tutte in sofferenza e a rischio, anche per la mancanza di liquidità che di recente ha impedito il regolare pagamento degli stipendi di Napoli Servizi nonostante gli 800 milioni di euro anticipati dalla Cassa Deposito e Prestiti e i 315 milioni erogati dallo Stato. Va detto che, sia nella prima che nella seconda consiliatura della Iervolino, capitava frequentemente di non disporre di sufficiente liquidità, le rimesse alle partecipate venivano abitualmente ritardate e i fornitori venivano pagati mediamente a 30 mesi dalla fatturazione. Mi preme tuttavia sottolineare che considero dannose le analisi sommarie, poiché possono essere fuorvianti e non offrono alcuna possibilità di formulare proposte praticabili. Vanno analizzati tecnicamente i problemi di bilancio, individuando le cause e facendo chiarezza sulle reali condizioni dei conti del Comune. Senza giustificare i responsabili attuali né cercare alibi.
Dai rendiconti dal 2010 al 2019 del Comune di Napoli si può constatare che il costo annuo dell’intera macchina comunale è stato mediamente di 1,1 miliardi di euro. Alla voce relativa al personale c’è stata la riduzione più consistente, passando da 475 milioni a 277 all’anno, penalizzando l’efficientamento dei servizi e dell’intera macchina amministrativa. Interventi non strutturali come leggine e varie anticipazioni finanziarie per evitare il default hanno solo spostato nel tempo i problemi di sempre: il minor volume fiscale, per il reddito procapite tra i più bassi d’Italia (sempre meno compensato dal fondo di solidarietà per i Comuni) e la scarsa capacità di riscossione che mediamente è al di sotto del 50% e nel caso delle multe arriva addirittura sotto il 20%.
Ci sono poi la gestione di un patrimonio immobiliare vetusto che diventa sempre più difficile manutenere e alienare; la drastica riduzione dei trasferimenti statali passati dai 646 milioni del 2010 ai 321 del 2020; la più stringente normativa contabile intervenuta nel 2015 che ha comportato un incremento esponenziale del Fondo crediti di dubbia esigibilità (Fcde), il cui valore ha raggiunto i 2.126 milioni di euro. Senza considerare la necessità d’implementazione del fondo contenziosi fino a 300 milioni e l’accantonamento di 174 milioni per i derivati.
Ci sono tutti gli estremi per ritenere che l’unica strada percorribile sia il dissesto e una legge speciale per Napoli. Non considereremo qui gli effetti del dissesto sui dipendenti del Comune, sulle partecipate e sull’economia della città. Diciamo solo che le statistiche ci dicono che i Comuni che ricorrono al dissesto sono recidivi e indotti a eludere i problemi strutturali. Ed è inaccettabile che, poiché non si riesce a migliorare la capacità di riscossione, solo meno della metà dei napoletani continua a sobbarcarsi del costo dei servizi dell’intera comunità, come pure che i Comuni sono sempre più caricati di responsabilità e lasciati soli dallo Stato. Per il resto efficientamento della macchina amministrativa e delle partecipate, la ricerca di competenze all’altezza dei problemi da affrontare, sono questioni più che condivisibili. Ma in questo temo che sia possibile intravedere più di qualche elemento di continuità con le esperienze amministrative del passato.
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