Il ruolo sociale delle CER
Comunità Energetiche Rinnovabili, una risorsa da valorizzare: il tema dell’ecologia alla prova dei territori
Papa Francesco, con l’Enciclica “Laudato si”, nel 2015 ha voluto tracciare un percorso per evitare il continuo conflitto tra sviluppo e sostenibilità, tra crisi ambientale e crisi sociale, tra globale e locale. Per questo sono da valorizzare le Comunità Energetiche Rinnovabili che con l’obiettivo di produrre energia elettrica direttamente sui territori per rispondere al fabbisogno locale possono essere uno strumento importante rispetto alle questioni poste dalle transizioni ecologica, energetica e digitale. Anzi in qualche modo mettono insieme tutti questi tre aspetti: rispondono alla necessità di produrre energia pulita, favoriscono la transizione ecologica e la decarbonizzazione del sistema produttivo e sono possibili grazie alla digitalizzazione della rete. Il tema dell’ecologia in futuro si giocherà sempre più nei territori, dove le persone vivono e lavorano, con la partecipazione dei cittadini al processo di sviluppo e consolidamento del sistema economico locale si potrebbe rilanciare il tema della democrazia economica.
È un impegno responsabile che può far sentire le donne e gli uomini del nostro tempo protagonisti di un cambiamento anche attento alle prossime generazioni. La Comunità di Energia Rinnovabile (CER) e l’Autoconsumo Collettivo (AUC) sono stati introdotti a livello europeo con la Direttiva UE 2001/2018. Una norma nata con l’obiettivo di stimolare lo sviluppo delle fonti rinnovabili, prevedendo tra le varie forme anche quelle legate all’autoconsumo finalizzato a decentralizzare la produzione, a combattere lo spreco e la povertà energetica ma soprattutto a mettere al centro della rivoluzione energetica il cittadino, che diventa parte attiva del sistema energetico e riducendo così il monopolio delle grandi aziende. Per questo possono essere una opportunità capace di riavvicinare il mondo produttivo con le comunità locali ed è utile che ad esse partecipino soggetti diversi e complementari, in modo da poter utilizzare sullo stesso territorio l’energia nel momento in cui è prodotta, dando anche una risposta alla povertà energetica che investe molte famiglie. Le Comunità energetiche e le rinnovabili vanno tuttavia inserite in un percorso di politica industriale e di sviluppo locale, altrimenti si limitano ad essere sostanzialmente dei semplici gruppi di acquisto che, se hanno senso per la produzione green e il risparmio dei costi, ne hanno molto meno per il territorio e le comunità locali.
Il rischio è infatti che le CER diventino dei semplici clienti delle aziende che già operano nel settore e che gli offrono il pacchetto chiavi in mano pagando gran parte degli investimenti iniziali e naturalmente prendendo una parte cospicua degli utili, riducendone però la convenienza per le persone e le famiglie, l’appetibilità, e quindi la loro creazione. In attesa degli ultimi decreti attuativi, ormai da diversi mesi a Bruxelles – il riscontro dell’UE è determinante ai fini degli incentivi di natura fiscale e quindi per un vero avvio operativo delle Comunità energetiche – è utile fare un breve punto della situazione. In Italia, le comunità energetiche rinnovabili e le configurazioni di autoconsumo collettivo, dopo una prima sperimentazione durata più di un anno, sono regolate dal Decreto Legislativo 199/2021. Le CER secondo le nuove norme possono assumere la forma giuridica di società cooperativa o di associazione non riconosciuta. Esperienze di comunità energetiche in forme diverse sono già presenti in Italia e ve ne sono altre in fase di avvio. In Europa sono uno degli elementi chiave per realizzare la transizione energetica. Come evidenzia la Commissione Europea, entro il 2050 metà dei cittadini europei potrebbe produrre fino alla metà dell’energia rinnovabile.
Il PNRR finanzia gli investimenti per 2,2 miliardi di euro le CER solo nei comuni sotto i 5000 abitanti. Invece per i comuni con oltre 5000 sono previsti contributi sulla produzione elettrica ma non per gli investimenti. In Europa la privatizzazione del settore elettrico non ha portato i frutti sperati per i consumatori e i lavoratori. Non si sono né abbassate le tariffe né vi è stato un aumento dell’occupazione di qualità. Le grandi imprese, ormai multinazionali, del settore, hanno ridotto l’occupazione diretta e vi è stata una disgregazione del mondo imprenditoriale con numerosi e ormai piccolissimi operatori presenti sulla rete. Per sfruttarne appieno le potenzialità occorre però costruire in maniera efficace le basi “comunitarie” dello strumento (veicolo societario) che si chiama Comunità energetica. Che poi essa voglia assumere la forma giuridica di cooperativa o di associazione o altre forme che saranno previste potrà essere importante ma non fondamentale, solo se saremo sicuri che gli aspetti comunitari saranno ben saldi nel gruppo di persone che la costituirà. Le istituzioni locali, le Parrocchie, gli enti del terzo settore, le cooperative, le organizzazioni sul territorio, le imprese, sono esse stesse delle Comunità che però vanno aggregate. Questa attività, oltre a consentire di aggregare la domanda energetica e ottenere risparmi sui costi, consentirà la creazione di reddito per sostenere le famiglie in difficoltà e di generare valore sociale, con l’approccio tipico della sussidiarietà.
Occorre allora pensare a progetti comuni che possano coinvolgere le persone, senza tralasciare i necessari investimenti che dovrebbero fare le famiglie. Occorre essere consapevoli che non è un percorso facile, perché una cosciente partecipazione è frutto di un forte impegno personale. Ma è chiaro come il ruolo sociale delle CER sia anche una prospettiva di sviluppo.
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