“Devi votare per Franco Marini domani, abbiamo l’accordo con Berlusconi: si chiude sul Quirinale e poi si fa il Governo insieme”. È la notte tra il 17 e 18 aprile del 2013 quando mi telefona uno degli uomini di più stretta fiducia di Pierluigi Bersani per rimproverarmi di aver manifestato la mia indisponibilità a votare per Franco Marini presidente della Repubblica nel corso dell’assemblea dei ‘grandi elettori’ del centrosinistra, riunita poche ore prima. Per me, da appena un mese entrato in parlamento, fu la fine dell’innocenza politica. Di fronte alla telefonata di un braccio destro di Bersani, esponente di quella sinistra che aveva fondato sull’anti-berlusconismo la propria esistenza, capii che in politica il ‘mai’ e il ‘sempre’ valgono solo per il passato.

Chiedere di votare un candidato al Quirinale scelto Berlusconi dopo aver cresciuto una generazione di elettori al grido di “mai con Berlusconi”, era il sintomo più evidente dell’ipocrisia di un certo mondo di centrosinistra (non tutto) da cui decisi in quel momento di allontanarmi. Semplicemente perché era molto diverso da come diceva di essere, lontano anni luce dal sogno riformista di Veltroni (eguagliato successivamente solo da Matteo Renzi) e da ciò che fuori dal palazzo credevano milioni di persone. Perché sì, è doverosa la collaborazione istituzionale anche con gli avversari politici; ma senza perdere la dignità. Nel 2013, all’apice dell’antiberlusconismo alimentato anche dalla spinta iper-populista del M5S che tallonava il Pd dopo quelle elezioni politiche, mi fece sorridere vedere che quella sinistra che aveva fatto della guerra senza quartiere al Cav la propria principale identità, era in realtà segretamente sedotta dall’abbraccio con Berlusconi.

Il Cavaliere ha sempre avuto questa capacità di rimanere centrale nel gioco democratico, condizionare anche il campo avverso, fin dalla sua discesa in campo. Anche quando sembrava finito dopo le dimissioni da premier nel novembre 2011, imposte da Banca d’Italia (a guida Draghi), Bce e Quirinale (dove sedeva Giorgio Napolitano) per lasciare a Mario Monti la guida di un’Italia in balia della crisi del debito sovrano. Lo dimostrò con il sorprendente 21 per cento preso da Forza Italia alle elezioni del 2013 (dentro un centrodestra che per un soffio non riuscì ad imporsi); e con la capacità di influenzare tutti i passaggi politici da quel momento ad oggi.

Berlusconi fu determinante per la rielezione di Napolitano nel 2013, giocando quella ‘partita’ in modo ineccepibile (esemplare la scelta di uscire dall’Aula durante la votazione decisiva su Prodi, affossato dalla stessa sinistra); lo fu per la nascita del governo di Enrico Letta nel 2013 (unico esponente Pd ad aver governato grazie al voto di Berlusconi); lo fu per la scrittura della grande riforma costituzionale del 2015, in cui ogni modifica parlamentare aveva anche la sua ‘firma’. Salvo poi diventare tra i principali oppositori della stessa riforma che aveva contribuito a scrivere, sottraendosi al ‘Patto del Nazareno’ dopo l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale (e non di Giuliano Amato, che egli avrebbe preferito).

Berlusconi fu determinante nel 2018 per il ‘nulla osta’ alla nascita del governo giallo-verde tra Lega e M5S, dopo aver incassato l’elezione della fedelissima Casellati alla presidenza del Senato; e lo fu di nuovo quando, nel febbraio 2021, dopo l’atto di coraggio politico compiuto da Italia Viva e Matteo Renzi che portò alla caduta del governo Conte II, nacque il governo di Mario Draghi. Che lo stesso Berlusconi contribuì a far cadere inseguendo Matteo Salvini e Giorgia Meloni (spalleggiati da Conte) sulla strada del voto anticipato.

La parabola di Berlusconi ha innegabilmente condizionato la traiettoria del Paese. Ci vorranno anni per rileggere, studiare e capire fino in fondo questi 30 anni che hanno segnato l’Italia e l’impegno politico di almeno due generazioni; per ora la certezza è che il Cavaliere mancherà tanto agli amici che ha avuto accanto, quanto ai suoi nemici. Inclusi i più feroci. Alcuni dei quali, paradossalmente, gli devono tutto.