È la stanza dei viaggiatori: da qui si torna a casa, si va nella terapia intensiva o si passa nella stanza buia accanto. Milano, Ospedale San Paolo, pneumologia reparto covid terapia sub-intensiva. Il personale infermieristico sta seduto solo nel momento di passaggio delle consegne del turno: si monta dentro una tuta e se ne esce a fine giornata, si lascia tutto fuori, tranne i sentimenti. E si corre, si suda, il telefono rimane nell’armadio, neppure la famiglia esiste, tu non saprai di loro e loro non sapranno di te. Si va fra i viaggiatori, dall’uno all’altro, che non sanno quale direzione avrà il loro viaggio, verso la famiglia, il coma farmacologico e l’intubazione, una galassia sconosciuta lontana centinaia di anni luce.
I viaggiatori si affidano agli astronauti dentro le tute come non accade per tutte le altre malattie, neanche quelle più gravi: nelle altre degenze sopravvive sempre una resistenza nel paziente, un’opposizione a un farmaco, un alimento, una posizione. Il covid è un morbo mostro che piega la mente prima del corpo: i malati si consegnano totalmente, si offrono a tutto, obbediscono a ogni ordine, si lasciano frugare. È come se si siano resi colpevoli del loro male, e il male è un demonio che hanno dentro e solo l’esorcista lo può cacciare. Gli astronauti hanno modi sbrigativi: toccano, spostano, puliscono, vanno a mille e poi si bloccano. Regalano un sorriso. Anche uno basta alla speranza di chi è sotto il casco. Anche uno basta alla speranza di chi è nella sala d’aspetto. Gli astronauti lo sanno come si sta, nel picco dell’inizio anno diversi sono andati sotto il casco. Ora sono di nuovo qua.
Tornano eroi, come lo sono stati in primavera, durante l’estate di nuovo personale servente ora, ancora, superman. Tutti li hanno presi in giro, li riprenderanno in giro. Lo Stato gli ha regalato qualche euro di mancia, durante l’emergenza, e quando è sembrato fosse finita, per premio, la direzione sanitaria li ha fatti girare come trottole al ritmo di asettici e cinici ordini di servizio. La gente gli ha dedicato poesie, preghiere, poster, li ha tenuti a distanza però, che non si sa mai. Li ha dimenticati durante l’estate. Ora li vuole di nuovo bene. Ma di nuovo a distanza, che ancora non si sa mai. E loro stanno soli, soli al lavoro dentro le tute, soli a casa in stanze separate: che mogli, mariti, figli, padri, madri, li salutano a distanza.
È una vita in una dimensione parallela: scorre come un treno accanto a un altro, senza toccarsi mai se non con lo sguardo, fino al prossimo incontro di fine emergenza. Dentro gli ospedali c’è una guerra senza spari che scivola silenziosa sul linoleum, sotto i calzari di astronauti danzanti che piangono o sorridono a seconda della direzione che i loro passeggeri prendono: fuori li aspetta un popolo di strepiti che li terrà a distanza per paura, che loro terranno a distanza per amore, sopra il loro binario di solitudine, lungo quanto l’interminabile durata di questo morbo.