Editoriali
Con la vittoria di Ruotolo esce sconfitto il riformismo meridionalista
Tuttavia, una ritirata su questo fronte al Sud lascerebbe di fatto campo libero a quella che comincia a delinearsi come una vera e propria Visegrad alle vongole, per quanto paradossale un simile paragone possa apparire. Un’alleanza che in un Sud privo di sindaci come Beppe Sala (Milano) e Giorgio Gori (Bergamo) e di governatori come Stefano Bonaccini (Emilia Romagna), cioè di amministratori in pace con la modernità e fortemente legittimati, non potrà che svilupparsi su un terreno ormai segnato.
In sostanza, quello del risentimento verso lo status sociale del Nord, dell’affidamento esclusivo alla spesa pubblica, dell’assistenzialismo preferito all’efficienza dell’amministrazione, del giustizialismo ammantato da una apparente correttezza politica, della retorica catastrofista su una borghesia totalmente asservita al potere criminale, del sospetto senza limiti e senza speranza sulle relazioni e le capacità dell’imprenditoria privata.
I segni di questa rivoluzione antiliberale e antimodernista nel Sud del Paese ci sono già tutti. Vanno dal già siglato patto tra Pd e de Magistris per l’elezione di Ruotolo all’annunciato viaggio del ministro Provenzano nei piccoli centri delle zone interne; un viaggio in compagnia non di progettisti e imprenditori, ma del poeta paesologo Franco Arminio, e dunque tutto all’insegna del localismo, del nativismo, e del populismo delle tradizioni e dell’identità intoccabili: un’operazione di solito criticata se di marca leghista, esaltata – a quanto pare – se di produzione sudista. La vittoria di Ruotolo alle suppletive rafforza questa prospettiva. Il forte astensionismo lascia spazio alla costruzione di un’alternativa.
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