«Cosa ci dicono le elezioni americane? Che la sinistra mondiale è tutta da reinventare. La cultura woke e gli schwa hanno prodotto il risultato che vediamo alla Casa Bianca, oggi». Anna Paola Concia – attivista per i diritti civili che dirige Didacta Italia e vive in Germania da dieci anni – è un fiume in piena.

La sinistra Woke, che dice Wake up, se lo deve dire da sola. Darsi la sveglia.
«La coincidenza tra l’elezione di Trump e la crisi di governo tedesca non è solo una coincidenza. E la scoppola che ha preso la sinistra americana è la stessa che sta prendendo in Italia, in Francia, in Germania… e la lista potrebbe continuare. O la sinistra esce da questo angolo e inizia a mettere le mani in pasta sui cambiamenti del mondo o siamo destinati a essere governati da autocrazie e da ultraconservatori».

Non sono più fenomeni locali, isolati. È la tendenza mondiale.
«È una tendenza mondiale e l’elezione di Trump, grande doccia fredda per i democratici americani e non solo, non arriva per caso. Il Partito democratico americano deve fare mea culpa e capire che cosa non è andato. A livello profondo, di cultura politica. Non bastano alibi tipo “la candidatura Harris è nata tardi”, “Biden doveva lasciare un po’ prima”… affermazioni che fanno capire come si sia lontani dal capire che vanno trovate soluzioni profonde».

Quali sono le ragioni profonde di una crisi che va da Washington a Berlino?
«Il nostro tempo è scosso dalla paura. Dalle paure, al plurale: socioeconomica, securitaria, geopolitica. La disoccupazione, le guerre, il futuro incerto, i disastri climatici. Il diverso. Ci stanno facendo crescere in un mondo dominato dalle paure sospinte, ribadite ogni giorno più spesso. Trump e le destre le sanno interpretare, dando una risposta semplicistica e sbagliata. La sinistra deve rispondere a quelle paure con idee e soluzioni che diano alle persone una alternativa. Invece il più delle volte i democratici di ogni latitudine parlano d’altro, come se alle paure si potesse rispondere ignorandole, provando a spostare l’attenzione».

Perché non rispondono nel merito?
«Perché non hanno ricette, non riescono più a parlare ai tanti tipi di lavoratori, che sono oggi classe media, entrando nel pieno dei loro quesiti. Chi cerca risposte a sinistra non le trova. Neanche in Germania, dove vivo da molti anni. E la crisi di cui si parla oggi è figlia di questa fuga dalla realtà».

Sta pesando, in Germania, la crisi economica. L’automotive chiude, gli ordinativi tedeschi si fermano. Mancavano i dazi americani.
«La Germania oggi è sull’orlo di una crisi di nervi. È ferma: non fa più investimenti da anni. Da quando ha investito miliardi, per la riunificazione Est-Ovest, all’adeguamento infrastrutturale. E sta per verificarsi la sua crisi economica più grave di sempre, come racconta bene un’analista di valore come Tonia Mastrobuoni, la corrispondente italiana più brava in Germania. Dice che la Germania è un gigante che cammina con le mani legate dietro».

Perché?
«Ha il dogma del pareggio di bilancio e non può (non vuole) fare debito, perché ce l’ha in costituzione. Quindi non investe. Debito e colpa in tedesco sono la stessa parola: Schuld. Vengono dalla cultura calvinista per cui essere in debito significa portare una colpa. Ma oggi non possono che fare debito, e si trovano quindi davanti a un cambio di paradigma obbligato ma difficilissimo».

E adesso Scholz va verso la crisi di governo aperta.
«Lindner, il ministro delle finanze, liberale del Fdp, è un dogmatico sul pareggio di bilancio ed è stato licenziato. I liberali toglieranno la fiducia a Scholz.
In Germania o hai un’alternativa – con la sfiducia costruttiva – o devi indire subito nuove elezioni. Ma c’è la manovra di bilancio, ed ecco perché Scholz dice che il 15 gennaio chiederà la fiducia. Non la avrà. E si tornerà a votare a marzo, con scenari del tutto aperti e piuttosto inquietanti, tipo l’esercizio provvisorio, credo mai accaduto».

Una crisi inedita, politica ed economica insieme.
«La Germania è sull’orlo del baratro e il contraccolpo lo sentiremo tutti. Noi in Italia siamo i più grandi fornitori e subfornitori dell’automotive tedesca. Se vanno a casa 120mila lavoratori tedeschi, il giorno dopo l’effetto domino colpisce noi. Con Trump in America e l’estrema destra così forte in Germania e in tutta Europa, corriamo ai ripari se teniamo ancora alla democrazia e proviamo a reinventare un centrosinistra credibile e di governo».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.