La sentenza conferma: la Libia non è un porto sicuro
Consegnò oltre 100 migranti ai libici, condannato comandante della Asso 28
La notizia è una bomba perché conferma che la legge, anche in questa melassa che tutto ottunde in tema di migrazioni, per fortuna esiste ancora e funziona ma soprattutto la notizia è importante perché smentisce per l’ennesima volta tutta la narrazione su cui poggia quasi l’intero arco parlamentare (seppur in modi diametralmente opposti ma coincidenti nelle conclusioni): la Libia non è un porto sicuro, riportare la gente in Libia è un reato e le autorità di Tripoli non sono legittimate a fare razzia di disperati nel Mediterraneo.
Era il 30 luglio del 2018 e la nave “Asso 28” si trovava poco distante dalla piattaforma di Sabratah della “Mellitah Oil & Gas” (una joint venture fra Eni e la compagnia statale petrolifera libica). Il comandante della nave avvista un gommone bianco con a bordo 101 persone. Il rimorchiatore di proprietà della compagnia Augusta, battente bandiera italiana, recupera i naufraghi. Tripoli in quel periodo aveva già registrato la sua zona Sar (l’area di ricerca e soccorso) con l’interessato sostegno del governo italiano. Peccato che nessuna autorità internazionale ritenga la Libia un “porto sicuro” (nonostante l’ostinata tiritera di molti politici dalle nostre parti) e che quindi qualsiasi consegna di naufraghi alla Libia e alla cosiddetta Guardia costiera libica non sia prevista da nessuna norma nonostante torni comodissima ai governi che qui da noi si succedono.
Il comandante della Asso 28 viene contattato dalla nave Open Arms attraverso il capo missione Riccardo Gatti e racconta di avere imbarcato tutti e di essere in viaggio per riportarli a Tripoli avendo ricevuto “ordini dalla Libia”. Quella conversazione (pubblicata da Nello Scavo di Avvenire l’anno scorso) risulterà fondamentale per le indagini: Asso 28 avrebbe dovuto fare riferimento alla giurisdizione italiana e invece decise di puntare verso la Libia. «L’operazione di soccorso è stata gestita interamente dalla Guardia Costiera Libica che ha imposto al comandante dell’Asso 28 di riportare i migranti in Libia», disse al tempo un portavoce dell’ENI. L’armatore (l’Augusta Offshore) raccontò di essersi coordinato con il “Marine department di Sabratah”: peccato che non esista da nessuna parte e che perfino a Tripoli negano di averne mai sentito parlare. In più sulla Asso 28 sarebbe salito un non meglio precisato “funzionario libico” di cui ancora oggi non si conoscono le generalità nonostante le norme costringano il comandante a registrare tutte le persone a bordo.
Ora il Tribunale di Napoli ha condannato a un anno il comandante della nave Asso28 per avere abbandonato i migranti che aveva soccorso e averli riconsegnati alla Libia. La sentenza conferma che le norme internazionali, la Convenzione di Ginevra sui diritti dell’uomo, il Diritto della navigazione e il Testo unico sull’immigrazione in vigore in Italia contano molto di più di ciò che torna comodo far credere. E il fatto che ora le navi civili che aiuteranno i respingimenti potranno essere indagate e sottoposte a processo spiega benissimo perché le Ong del Mediterraneo siano dei testimoni scomodi per tutti. Rimane però un punto sostanziale: se la legge Italiana riconosce illegittimi i respingimenti e le consegne dei naufraghi alla Libia come può lo Stato italiano (lo Stato di quella stessa legge) continuare a fingere di non vedere e spingersi a finanziare l’illegittima Guardia costiera per agevolare il ritorno alla prigionia? Se il comandante della Asso 28 è stato condannato non è evidente il favoreggiamento per lo stesso reato del nostro governo e del Parlamento? Perché le leggi che valgono nei tribunali di Napoli non valgono come direttive per i comportamenti, i finanziamenti e i rapporti del governo? Abbiamo un (presunto, visto che siamo in primo grado di giudizio) esecutore: chi sono i mandanti e i favoreggiatori?
Tra l’altro proprio ieri un gruppo di 32 migranti ha fatto causa allo Stato di Malta: raccontano che nell’aprile del 2020 dopo essere stati salvati da un peschereccio sono stati trattenuti su alcune imbarcazioni turistiche controllate dal governo maltese ma tenute fuori dalle sue acque territoriali senza essere mai stati informati del loro diritto di chiedere asilo, trattenuti su una prigione galleggiante in barba a qualsiasi legge. Anche in questo caso la “libera dimenticanza delle norme” sembra essere il metodo preferito per disfarsi del problema. E ieri si è avuta notizia delle ennesime vittime. Libya Observer ha pubblicato un breve filmato in cui si intravedono i corpi senza vita di 15 persone a bordo di una zattera di legno con a bordo 140 migranti. La cosiddetta Guardia costiera libica afferma di aver soccorso lunedì «una barca di legno rotta che trasportava 140 migranti e ha trovato 15 cadaveri a bordo mentre si dirigevano verso le coste dell’Ue».
L’Unhcr ha confermato che 15 migranti sono annegati nel naufragio di cui ha dato notizia la ong Alarm Phone. «Recuperati i corpi di 15 persone quando 2 imbarcazioni sono arrivate questa sera alla base navale di Tripoli», ha commentato Unchr. «A 177 sopravvissuti sono stati forniti aiuti», viene aggiunto precisando che «alcuni (…) necessitavano di assistenza medica urgente». L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) certifica che sulla «rotta mediterranea centrale», quella che dalla Libia porta all’Italia, quest’anno sono stati contati 474 morti e 689 dispersi a fronte dei 381 decessi e 597 persone scomparse nel 2020. A questi si aggiungono 26.314 migranti riportati in Libia (l’anno scorso sono stati 11.891) in barba a qualsiasi legge nazionale e internazionale. E questa volta non lo scriviamo solo noi, l’ha sentenziato un giudice a Napoli.
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