Colpita e azzoppata. Sull’immigrazione dai suoi primi, più importanti e storici alleati, i conservatori sovranisti ungheresi e polacchi. Sul Pnrr e sul famoso “pacchetto economico” sventolato con tanta veemenza mercoledì davanti al Parlamento italiano, più o meno da tutta Europa. Un Consiglio Europeo che doveva essere una cavalcata da valchiria si è trasformato in una missione mesta e grigia. Da cancellare il prima possibile. Il problema è come.

Giorgia Meloni era sicura che, mentre in Italia sbarcano circa duemila immigrati al giorno più altre decine che non riusciamo neppure a contare, il Consiglio europeo che si è concluso ieri portasse la buona notizia della ratifica e quindi dei primi passi operativi del nuovo accordo sull’Immigrazione e sull’asilo approvato a livello di Commissione tre settimane fa (l’8 giugno) tra il giubilo generale nonostante l’ombra, già da allora, del no del leader ungherese Orban e di quello polacco Morawiesky a maggioranza. Il via libera, nella forma delle “Conclusioni” nel documento finale del Consiglio, doveva arrivare appunto ieri. Giusto in tempo, siamo a fine giugno, per dare almeno un segnale di inversione di tendenza prima dei due mesi – luglio e agosto – che storicamente portano un aumento degli sbarchi.

La cruda verità è che il governo torna a casa con le pive nel sacco e più solo che mai nell’affrontare un’emergenza ormai strutturale. Del Patto sull’immigrazione e l’asilo non c’è infatti traccia nel documento finale. Significa che non se ne farà nulla. Non ora, almeno e non nelle forme previste. “Si tenterà – hanno spiegato fonti del Consiglio Ue – una nuova mediazione”.

La premier offre una visione diversa. In un punto stampa frettoloso ma obbligatorio a Bruxelles. Sull’immigrazione, ha spiegato la premier, sono stati fatti importanti passi avanti perchè è stata “accettata e condivisa da tutti i 27 la dimensione esterna del fenomeno”, ovverosia che dobbiamo bloccare i flussi in partenza con il doppio obiettivo di stroncare il business degli scafisti e di garantire l’ingresso secondo canali legali. Nulla da fare invece per la dimensione interna, cioè cosa fare una volta che migliaia e migliaia di migranti hanno preso la via del mare e arrivano sulle coste europee che però sono “solo”, per questioni geografiche, quella di Italia, Grecia, Malta e- assai meno – di Spagna. Per la cosiddetta “dimensione interna” il Patto prevedeva un meccanismo di redistribuzione obbligatoria in tutti i 27 paesi per un totale di almeno 30 mila migranti in base al pil e alla popolazione di ogni paese. I paesi che dicono no dovranno pagare 20mila per ogni migrante rifiutato. Questi soldi dovevano confluire in un Fondo europeo destinato allo sviluppo dei paesi africani da dove i flussi partono e transitano. Paesi “terzi” dove sono garantiti i diritti umani.

Ad esempio, la Tunisia che è il paese in questo momento da dove partono costantemente i flussi. Su questa parte Ungheria e Polonia hanno detto no. Meloni ha tentato una mediazione a margine del summit che però è fallito. “Non sono delusa su come sono andate le cose, non è stato un fallimento e non sarà certo io – ha spiegato la premier – a biasimare chi difende e tutela gli interessi nazionali”. Che però, in questo caso, confliggono con tutta evidenza con gli stessi interessi nazionali di altri Paesi. A cominciare dall’Italia. Tra le motivazioni di Orban e Morawiesky nel trilaterale a margine con la loro presidente Meloni c’è che “non vogliono fare la fine della Francia dove Macron è dovuto tornare in fretta e furia per quello che sta succedendo nelle banlieu”. Stando così le cose, il tema migranti è stato stralciato dalle conclusioni finali del vertice. Significa che almeno fino a settembre/ottobre’Italia, come la Grecia e Malta, dovranno fare da sole. A oggi sono arrivati in Italia 64.930 mila migranti. L’anno scorso, alla stessa data, erano 27.633.

Un po’ meglio è andata sul capitolo Tunisia che era stato tenuto fuori dal punto “migrazioni” e inserito, non a caso, in quello delle relazioni istituzionali. Via libera all’implementazione dei rapporti commerciali con la Tunisia così come proposto dall’Italia. Significa che arriveranno soldi al presidente Saied a cui invece il Fondo monetario nega i 2 miliardi previsti se prima non ripristina la democrazia e i diritti civili. I soldi che arriveranno, e che non saranno ufficialmente destinati a bloccare i flussi in partenza, dovrebbero però sensibilizzare Saied su questa emergenza.

Così sull’immigrazione. Ma non è andata meglio sulle misure economiche visto che la terza rata del Pnrr ancora non arriva nonostante si ripeta ogni giorno, da sei mesi, che “è questione di ore”. E sulla quarta, scaduta giusto ieri, è ormai ufficiale che sono stati mancati alcuni obiettivi (asili nido, colonnine a idrogeno). Anche su questo la versione della premier è assai diversa da quella che resta sui bloc notes dei giornalisti. “Avevamo chiesto piena flessibilità nell’utilizzo dei fondi esistenti. Significa che tra Fondi di Coesione e Pnrr, sono circa 300 miliardi di euro che possono essere meglio spesi e concentrati sulle priorità”. E la terza rata del Pnrr? “Mi spiace – e sorride amaro – deludere gli spoiler che cercano di minare il lavoro paziente che stiamo portando avanti. Posso dire a queste persone che stanno mancando il loro obiettivo”. Anche sul Mes, secondo Meloni, “non ci sono problemi. Nessuno me ne ha parlato. È un problema solo in Italia”. Neppure qui, visto che ieri mattina per l’atteso dibattito alla Camera erano presenti venti deputati. La decisione è di rinviare a ottobre. Peccato che a Bruxelles il Mes sia stato il convitato di pietra di ogni incontro soprattutto tra le delegazioni. Se l’Italia vuole usare il Fondo Salva Stati come arma di ricatto per ottenere altro – flessibilità nel nuovo Patto di stabilità, unione bancaria e stop al dumping fiscale -, a Bruxelles magari usa il Mes per non pagare le rate del Pnrr. E questo è un problema serio.

Claudia Fusani

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