Lazio e Lombardia andranno al voto a febbraio, oggi vengono formalizzate le dimissioni di Zingaretti ed entro 90 giorni dovrà esserci il nuovo governatore. Naturale che si vada a un election day per entrambi, il Viminale deve rendere nota la data. Le due consultazioni interessano 15 milioni di elettori, un italiano su quattro. Saranno il più grande test elettorale del 2023. Se in Lombardia l’attuale governatore Attilio Fontana, in pista per il centrodestra, sarà sfidato da Letizia Moratti, con il Pd che deve decidere il suo percorso, nel Lazio la nebbia non è meno fitta. E a diradarla non contribuisce Giuseppe Conte che ieri ha convocato una conferenza stampa dai toni minacciosi verso Enrico Letta e in particolare Roberto Gualtieri.

“Noi siamo i progressisti, vogliamo metterci al tavolo per vincere le elezioni con chi converge sui nostri pilastri: ambiente, salute, lavoro”. E poi sciorina una serie di No: “No alla autostrada Roma-Latina, no all’inceneritore, no al rapporto opaco tra sanità e politica”. In particolare Conte appare livoroso verso Enrico Letta (“Con questi dirigenti abbiamo difficoltà a sederci al tavolo”) e con Roberto Gualtieri (“Roma è peggiorata in questo suo primo anno”), mentre mastica e rimastica il suo nuovo mantra: “Saremo radicalmente progressisti”, insiste. Ammette di sentire spesso Goffredo Bettini, che nell’ultimo anno si è trasformato da kingmaker del Pd romano a King Kong: lo tiene stretto in pugno e a tratti pare volerlo stritolare. Ecco che Conte distribuisce schiaffoni ai dem: “Negli ospedali del Lazio si assiste troppo spesso a casi di malasanità, con pazienti lasciati in corridoio per giorni”, bombe lanciate sul percorso che doveva portare dal campo stretto al campo largo e che invece ne fanno un campo minato. Ma il M5S con chi sta? “Siamo noi progressisti a dire agli altri che se vogliono venire con noi, siamo aperti al dialogo, ma bisogna sottoscrivere le nostre condizioni”. La legge elettorale non consente divagazioni, si sta da una parte o dall’altra, ma poco gli importa. E dire che nel Lazio il Pd una carta vincente la avrebbe, per le mani.

L’assessore alla sanità Alessio D’Amato è in pista e avrebbe dalla sua il favore dei dirigenti locali dem, oltre ad avere incassato il sostegno di Matteo Renzi e Carlo Calenda (che su Roma ha il 20-23% dei voti). D’Amato è una figura politica complessa, atipica, trasversale. Viene da sinistra: sarebbe un progressista vero, e non da oggi. Era stato tra i giovani comunisti romani, con Gualtieri. Poi un passaggio in Rifondazione e l’approdo nel Pdci di Oliviero Diliberto. Scuole di politica d’altri tempi. Oggi è apprezzato da tutto il mondo della sanità, laico e cattolico. E oltre al suo Pd, dai moderati del Terzo polo. Parla al Riformista per rispondere a Conte: “Bisogna costruire questa alleanza riformista che ha tutte le carte in regola per vincere, nel Lazio. Unire il centrosinistra con progetti concreti e senza demagogia, perché i cittadini di Roma e del Lazio vogliono risolvere il problema dei rifiuti, adesso. Chi si dichiara progressista deve prima fare i conti con la realtà”. E il percorso verso la candidatura? “Deciderà la coalizione, il cui perimetro va dal Pd al Terzo polo. Io sono favorevole alle primarie di coalizione: sono un elemento di chiarezza e di partecipazione. Se si decide di farle, io sono pronto a candidarmi e a correre per vincerle”. Lo scontro frontale di Conte viene visto come un elemento che fa piazza pulita di ogni ipotesi di alleanza.

Tira le somme Matteo Orfini: “Sgombrato il campo dal tentativo con Conte, mi sembra che la candidatura più forte” per il post Zingaretti “sia quella di Alessio D’Amato”, dice Matteo Orfini. D’Amato nel Lazio e Moratti in Lombardia, secondo i sondaggisti, sarebbero sin da subito insidiosi per il centrodestra. La coalizione che ha vinto le elezioni ha confermato Fontana per il Pirellone ma non ha ancora sciolto la riserva per la Pisana, sede della Regione Lazio. Si fanno il nome di Francesco Rocca, un tecnico che dal vertice della Croce Rossa Italiana potrebbe rappresentare una sorta di commissariamento per la Regione, e della ex consigliera regionale di Fratelli d’Italia, Chiara Colosimo. Il timore è che il Pd, alle prese con una difficile gestione del dissenso interno, preoccupato più delle rapide congressuali che della cascata elettorale, finisca per cedere alla tentazione di candidature identitarie. In questo senso andrebbero interpretate le parole con cui Enrico Letta ha aperto la riunione della segreteria: “Non c’è un solo motivo al mondo per cui il Pd debba candidare Letizia Moratti, ex ministra di Berlusconi ed ex assessora del leghista Fontana”.

A sentire i dem lombardi, però, qualche ragione si fa strada. Intervistato da La7, il dem Walter Verini prova a mediare: “Se ci fosse un gesto di umiltà di Letizia Moratti si potrebbe considerare tutto”. Il gesto potrebbe essere quello di accettare di correre in ticket con Carlo Cottarelli, ad esempio. Che però prende ancora tempo, forse alla ricerca dell’accordo con il Terzo polo. “Non voglio aspettare per sempre – ha detto ieri Cottarelli -, farò ancora delle chiacchierate con persone di cui mi fido per decidere se nell’attuale situazione c’è la possibilità di avere una coalizione sufficientemente ampia. Quando ho il quadro completo della situazione, dirò qual è la mia posizione”. Se dovesse declinare, il nome su cui punterebbe il Pd sarebbe quello del sindaco di Brescia, Emilio Del Bono. E va avanti anche il pressing su Pisapia che al momento non si lascia convincere. Letizia Moratti va avanti veloce, intanto. E sta per allestire la sede del suo quartier generale.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.