L'intervento del Presidente
Conte riferisce in Aula ma non dice di niente
Frigido pacatoque animo. Ha usato anche il latino, il Presidente Conte, nella sua notarile informativa resa ieri alla Camera sulle iniziative assunte dal governo per contrastare il Coronavirus. Una relazione, appunto, fredda e pacata, doveristica. Conte ha seguito una trama classica: ha espresso dolore e vicinanza, ha ringraziato gli sforzi straordinari del corpo sanitario nazionale, ha citato anche la lettera di un’infermiera di Senigallia, Michela, che chiede che il lavoro degli infermieri non venga poi dimenticato. Ha snocciolato una serie di punti fermi, elencando puntualmente la cronologia delle iniziative prese a partire dallo scoppio del contagio e ha rivendicato la speditezza delle misure adottate fin dal 22 gennaio (peccato che ancora il 24 gennaio sbarcassero direttamente da Wuhan a Roma centinaia di passeggeri cinesi che non sono stati sottoposti a quarantena e anzi hanno potuto muoversi liberamente in giro per l’Italia, come denunciato in solitudine dal nostro giornale).
Nella compita elencazione, non è mancata la lista dei provvedimenti economici adottati per sostenere la nostra economia e le nostre imprese grandi e piccole, vicine al collasso, e la promessa di proteggere a tutti i costi le nostre aziende strategiche. Conte ha detto che 25 miliardi di euro sono già stati dedicati a questa titanica impresa e che più o meno altri 25 ne arriveranno con un nuovo decreto ad aprile. Pochissimi, purtroppo. Naturalmente occorre l’aiuto dell’Europa, e la governance economica europea, ha detto, dovrà cambiare. Qualche pennellata di futuro l’ha data evocando succintamente la necessità di dare impulso alla trasformazione digitale e quella di alleggerire la nostra burocrazia. Entrambe intenzioni apprezzabili, speriamo che divengano realtà. Infine ha difeso la gradualità delle misure di sicurezza messe in atto e l’abuso dello strumento del Dpcm – da lui definito agile e uniforme – che di fatto ha esautorato il Parlamento in queste settimane cruciali. «Dobbiamo tenere in equilibrio benefici e sacrifici», è stata più o meno la frase culmine della relazione.
Un unico dubbio, un unico interrogativo ha squarciato la lunga trama di certezze assiomatiche elencata ai deputati: saremo stati all’altezza? Dovrà giudicarci la storia, si è risposto prontamente. Finita la prolusione con lo scontato richiamo all’unità, rimane una forte nostalgia di politica. Perché quella è mancata nelle parole di Conte, quello squisito talento sociale capace di offrire sempre e comunque, anche nei momenti più tragici, una visione e anche una generosità. Conte non ha trovato l’occasione di fare almeno un cenno alle opposizioni e al loro apporto. E ha dimenticato di ricordare una delle ferite più criminose di questa emergenza, quella della condizione delle nostre carceri e delle rivolte scoppiate pochi giorni fa.
Persino Mattarella nei giorni scorsi ha manifestato la necessità di studiare un intervento, ma il Presidente del Consiglio fin qui ha preferito lavarsene le mani. Non abbiamo avuto la sensazione di qualcuno che sia alla conduzione di un Paese spezzato, ma quella di un uomo rassegnato a giocare di rimessa, quando invece ci sarebbe tutto lo spazio per poter giganteggiare. Ma per giganteggiare ci vuole un cuore gigante. Invece disponiamo per il momento solo di un frigido pacatoque animo.
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