Anche agli orologi rotti capita di indicare l’ora esatta, due volte al giorno. Capita così perfino a Giuseppe Conte di intuire che il dialogo volto a garantire dei corridoi umanitari, a questo punto della paradossale vicenda afgana, sia l’unica arma per iniziare a lavorare seriamente sui diritti umani. Se il dialogo fallisce, si ricorrerà a un piano successivo. Prima però il dialogo va tentato: è il fondamento negoziale di ogni politica estera prima ancora che il principio cardine della realpolitik.
Conte lo dice da par suo, con le pennellate rapide e spesse con cui ci ha abituati a dare colore alle cose. In Afghanistan, dice da Salerno conversando con i giornalisti, «è prioritario assicurare la possibilità dei corridoi umanitari per coloro che hanno collaborato con le forze occidentali. L’Occidente ha un impegno morale a mettere in sicurezza queste persone». Seguendo uno schemino scritto enuncia la necessità di mettere in piedi un tavolo internazionale, al quale però non tarda un minuto a evocare la partecipazione attiva della Cina.
E rieccola, l’ombra di Pechino che torna come una costante in tutti gli scenari geostrategici disegnati da Conte e dai Cinque Stelle: «Tutta la comunità internazionale, non solo l’Italia o solo l’Europa, ma insieme agli Stati Uniti, coinvolgendo anche Russia, Cina, il Pakistan, alimenti un dialogo serrato con il nuovo emirato islamico e con i talebani per costringerli, per incalzarli sul rispetto dei diritti umani e civili». E già l’idea che la Cina vada a incalzare i talebani sul rispetto dei diritti umani dovrebbe dirla lunga.
Ma Conte non s’accontenta e prosegue: «Quanto fatto in vent’anni per la scolarizzazione e l’aspettativa di vita delle donne è un patrimonio che non possiamo disperdere. L’unico modo per farlo è stare addosso ai talebani, condizionare tutti gli aiuti di cui hanno bisogno a questi obiettivi, al rispetto dei diritti civili e umani fondamentali». Da stare contro a stare addosso, l’espediente semantico è sottile. A qualcuno sembra quasi che Conte parli proprio come Pechino avrebbe auspicato. Le parole di Conte sono allineate, mutatis mutandi, con una eloquente prima pagina del Fatto Quotidiano, il “suo” giornale. “I talebani fanno i democristiani”, titolava Marco Travaglio. Occhiello: “Prima conferenza stampa da ‘moderati’”. Tiriamo il fiato, dunque? È l’invito del Fatto, che prosegue meglio nell’interno e per rassicurare gli animi pubblica una ampia foto con i giovani talebani dal volto sorridente.
Insistono: “I nuovi volti senza ferocia dei signori della sharìa”. Parlano di “nuova classe dirigente”, termine che è già un generoso regalo. E concludono: “Sono uniti dal voler rassicurare il mondo”. Proprio il Fatto, e il Movimento Cinque Stelle, e Giuseppe Conte: coloro che sdegnosamente aborrono qualunque ipotesi di ascolto delle ragioni di un indagato, eccoli pronti al dialogo con i talebani. I duri e puri sempre pronti a mettere alla berlina chi va a processo (per non parlare poi dell’interlocuzione sempre sdegnosamente ripudiata verso la criminalità organizzata di casa nostra), corrono incontro ai “nuovi dirigenti afghani”, riconoscendo loro “volti umani” e “tratti rassicuranti”. La realtà della cronaca si incarica di smentire qualsivoglia rassicurazione, intanto. A Kabul la caccia all’uomo (e alla donna, anzi soprattutto alla donna) incalza. I primi arresti sommari, le prime incarcerazioni, le prime esecuzioni a colpi di kalashnikov nelle piazze avvengono ancora prima che Conte e il Fatto abbiano iniziato a rassicurarci con successo. Tanto che Luigi Di Maio non ci sta, e pronuncia parole che suonano come una sonora e imbarazzata bocciatura del neoleader grillino. «È importante agire in maniera coordinata nei confronti dei Talebani. Dobbiamo giudicarli dalle loro azioni, non dalle loro parole. Dobbiamo mantenere una posizione ferma sul rispetto dei diritti umani e delle libertà, e trasmettere messaggi chiari tutti insieme».
La polemica divampa. La viceministra alle Infrastrutture, Teresa Bellanova, inanella gli innamoramenti di Conte: «Dai gilet gialli alla via della Seta, da Maduro a Donald Trump, dagli ‘amici libici’ ad oggi i talebani. Per i 5 Stelle e il loro leader Giuseppe Conte quando si parla di politica estera più che uno vale uno, mi pare valga la regola di uno vale l’altro». Osvaldo Napoli, di Coraggio Italia, lo interroga: «Si accorge Conte che vuole dialogare con chi da quattro giorni va rastrellando, sì, proprio come facevano nazisti e fascisti, le persone casa per casa?». Graffiante anche la replica di Gennaro Migliore. Che in un’intervista al blogger Dario D’Angelo, va all’attacco dell’ex premier: «Sono imbarazzato per lui visto che siamo ancora impegnati nelle fasi di evacuazione del nostro personale e di coloro i quali stanno cercando di salvarsi dalle probabili vendette talebane». «Siamo al primo giorno di controllo militare da parte dei Talebani – rincara il deputato di Italia viva – e ci sono già dei morti a Jalalabad tra i manifestanti, abbiamo le madri che lanciano i loro figli oltre il filo spinato per farli salvare dai militari dell’Alleanza e c’è chi, come Giuseppe Conte, ha l’ardire di parlare di nuovo regime come se questo fosse un regime come un altro, accreditato come la guida di un Paese. Io sostanzialmente penso che siano delle frasi da un lato completamente impresentabili. Dall’altro però sono anche l’indice di qual è l’alleanza che Conte intende promuovere».
Anche dai Dem a fine giornata qualche sopracciglio si alza. Alla chetichella, nelle chat interne. Prende invece il volo il tweet con cui l’eurodeputata Dem Pina Picierno si indirizza al ministro degli Esteri: «Cosa pensa Di Maio riguardo apertura vergognosa di Conte ai Talebani? Nessun dialogo con chi calpesta diritti fondamentali, perseguita donne, tortura e uccide oppositori, spara a raffica su folle inermi. Non tutti i valori sono negoziabili». Chiude in bellezza Vittorio Sgarbi: «Regime distensivo? Conte è passato in poco tempo dall’essere avvocato del popolo a fare l’avvocato dei talebani».