I dem nei guai
Conte teme Calenda: l’avvocato del popolo non si candida alle suppletive, in pole Marco Bentivogli
Conte contro Calenda? Sarebbe stato un duello epico, un confronto tra due culture, due visioni del mondo nel collegio storico di Roma 1, proscenio della discesa in campo di Berlusconi, nel 1994. La coalizione giallorossa (Pd-M5S-Leu) aveva deciso di puntare su Giuseppe Conte. Mal gliene incolse. Perché Conte non è cuor di leone. “Declino l’offerta, ringrazio Letta e il Pd”, dirà alla fine di una giornata convulsa. “Dedicarmi al M5S è un impegno assoluto”, ha detto, senza pensare che Enrico Letta ha appena iniziato il suo nuovo mandato di deputato senza rinunciare a guidare il Pd.
Sono scelte. Fatte tenendo ben presente che quel seggio rimasto vacante fa gola anche alla sindaca rimasta vacante, Virginia Raggi. E non solo a lei: perfino Alessandro Di Battista, ormai alle prese con il suo movimento Su la testa, ha messo gli occhi sulle suppletive. Candidature diverse: quella di Conte avrebbe raccolto la coalizione di governo che fu, mentre il Pd avrebbe difficoltà a sostenere Raggi. Saranno elezioni blitzkrieg, una guerra lampo: si vota tra cinque settimane e non c’è modo di fare alcuna campagna, bisogna mettere nelle urne nomi noti e volti capaci di fare della grancassa televisiva l’unica arma elettorale. Calenda è pronto, e pazienza se è europarlamentare. Si dimetterà se eletto alla Camera. Conte confermerà di correre. Ma l’ex premier corre o non corre? Sulle prime, non si è smentito: “Sono perplesso”, ha debuttato. E lo sgarbo verso Letta e la dirigenza dem è apparso subito nella sua interezza. Le “perplessità” che già in passato hanno indotto l’ex premier Giuseppe Conte a rifiutare la candidatura ad un collegio suppletivo, “permangono”, filtrava sulle prime dal suo cerchio magico. L’Avvocato del popolo non si smentisce.
E non smentisce la massima che Manzoni metteva sulle labbra di Don Abbondio: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”. Conte sa che scendere in campo per una candidatura implica un rischio, un investimento e un impegno del tutto nuovi rispetto al suo vissuto. Avrebbe dovuto misurarsi con i numeri dei suoi avversari, rinunciare all’amato campo da tennis – dove viene accompagnato con la scorta – e firmare una rinuncia sine die di tutti i proventi del suo studio legale, se eletto. Si sarebbe infatti trovato in una messe di conflitti di interesse e incompatibilità tale da dover rinunciare alla professione. E non sia mai. La boutade della sua candidatura è stato un ballon d’essai del Pd che ha avuto il merito di accendere l’interruttore generale delle altre forze in campo. «Non esiste, ma proprio non esiste, cedergli un collegio dove hanno fatto uno scempio», aveva avuto modo di dire l’ex candidato sindaco Calenda.
«L’obiettivo comune dovrebbe essere quello di creare un’alternativa alle destre. Il suo obiettivo ad oggi, in comune con Italia Viva, pare sia quello di fare un’inutile guerra a Giuseppe Conte. Salvini e Meloni brindano», gli risponde il sottosegretario agli Interni di M5s, Carlo Sibilia. Con Conte che non corre, Azione punterà su un’altra candidatura di bandiera, una donna: la consigliera regionale Valentina Grippo. Sono in molti a chiedergli di tenere la candidatura sul tavolo. Lo tenta anche un pezzo di Forza Italia, con Francesco Giro: «Deciderà con la sua testa e ascoltando i suoi collaboratori. Ma io stamattina gli ho consigliato di candidarsi comunque nel collegio di Roma centro. È un collegio emblematico e nevralgico. Dopo la fuga patetica di Conte, cuor di leone, e dopo i piagnistei dei grillini che già pregustavano di vincere facile, ora Calenda deve candidarsi comunque. Sarebbe il coronamento del suo piccolo capolavoro romano. E avere Calenda in Parlamento converrebbe alla politica, non solo alla sinistra ma anche alla destra. Ne gioverebbe il pluralismo in una fase convulsa come quella attuale», conclude il deputato azzurro Giro.
Matteo Renzi perlustra il terreno. I suoi proconsoli romani – Luciano Nobili e Roberto Giachetti – lavorano a una rosa di nomi. «Se il Pd candida Conte, la candidatura riformista noi la troveremo in ogni caso e non sarà quella di Giuseppe Conte», fa sapere il leader di Iv che non esclude di puntare su Marco Bentivogli, ex segretario generale della Federazione Italiana Metalmeccanici della Cisl, oggi a capo di Base Italia. L’ex leader sindacale, da noi sentito, ci sta riflettendo. Il suo nome potrebbe essere quello su cui converge una buona parte del centrosinistra, al di là delle sigle di partito. Un trait-d-union ancora più importante se fosse confermato il gelo tra Renzi e Calenda.
Pare, ma gli interessati smentiscono, che Azione stia facendo shopping in casa Iv. Il senatore ternano Leonardo Grimani ha lasciato il partito di Renzi per approdare al Misto, in vista, sembra, di schierarsi apertamente con Calenda. Di lui si ricorda, negli uffici del leader di Iv, come fosse il più contrario a sfiduciare Conte, nei giorni convulsi di fine gennaio scorso. Tentato di salvare il Conte Ter, oggi starebbe trattando con Azione in chiave anti-Conte. Per le urne affilano le armi anche il centrodestra – è in corso una consultazione tra gli azzurri – e la nuova formazione liberale della Buona Destra di Filippo Rossi, che ha annunciato di correre anch’essa con una donna, Corinna Marzi.
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