Parola d’ordine: pragmatismo. Una volta accantonati gli slogan elettorali, metabolizzati risultati e smaltite le polemiche a Strasburgo è suonata la prima campanella per i deputati del Parlamento europeo. Tutti gli occhi, però, erano puntati per l’incontro tra Ursula von der Leyen, verso il bis come presidente della Commissione Europea, e il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni. Il pragmatismo diventa una scelta necessaria visto che, con piacere o dispiacere, l’Europa è la principale alleata dell’Italia, il primo mercato di sbocco dell’export del Bel Paese e soprattutto il principale regolatore della politica finanziaria.

Procedura di infrazione per l’Italia

Non dimentichiamo che l’Italia è sotto procedura di infrazione per deficit eccessivo. Cosa vuol dire? Che Roma non ha rispettato i limiti del rapporto deficit-Pil (dovrebbe essere al 3 per cento ma quest’anno chiuderà al 4,4 per cento) e il rapporto debito-Pil. Questo secondo caso è impossibile da centrare, visto che dovrebbe essere al 60 per cento mentre il 2024 chiuderà al 141,1 per cento. Ci consola poco il fatto che non siamo gli unici in Europa. Sotto la stessa procedura di infrazione ci sono altri sei Paesi, tra cui la Francia. Cosa comporta il tipo di “infrazione” commesso dall’Italia? A partire dal 2025, il governo Meloni dovrà tagliare la spesa pubblica dello 0,5 per cento del pil. In soldoni: un taglio di 10 miliardi l’anno.

Per i disastrati conti pubblici italiani è una mannaia enorme che limita lo spazio di manovra del Governo. Se a questa cifra, ad esempio, aggiungiamo il taglio del cuneo fiscale che è già operativo e per il quale servono 11 miliardi l’anno, capiamo bene che la Finanziaria del prossimo anno sarebbe già scritta, vista la necessità di trovare 21 miliardi solo per coprire questi due impegni. E il programma? Come si finanzierebbe la flat tax per le partite Iva al di sopra degli 80mila euro? Dunque, l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Italia è avere una Commissione Europea “contro” quando invece questo è il momento del pragmatismo e della mediazione.

Lo strano asse con la Francia

Una mediazione che, in fin dei conti, potrebbe essere più facile per una serie di motivi. Anzitutto, insieme all’Italia anche la Francia ha un disperato bisogno di flessibilità di bilancio. Il presidente Macron è alle prese con una inedita situazione per Parigi: trovare un governo che “tagli” le ali estreme. Per evitare che destra e sinistra facciano il pieno alle urne in futuro, un esecutivo di questo tipo, però, ha necessità di investire e non di seguire la politica “ragioneristica” dei mandarini di Bruxelles. La situazione francese, per quanto lontana dall’Italia, sta seguendo una parabola che la porta velocemente verso Roma. Il deficit-pil nel 2024 chiuderà al 5,1 per cento mentre il debito-pil sarà al 110 per cento. Senza dimenticare che la Francia, in termini assoluti, ha il debito pubblico più alto d’Europa. Ecco perché Macron e Meloni, nonostante le divergenze, potrebbero essere seduti dallo stesso lato del tavolo delle trattative con l’Ue.

Un altro elemento che potrebbe aiutare l’esecutivo italiano nel rapporto con l’Europa è la necessità sancita dall’ultimo vertice della Nato di aumentare gli investimenti nel comparto della Difesa. L’Italia si è impegnata a raggiungere il 2 per cento del Pil. Una spinta a farlo potrebbe essere escludere gli investimenti in armi nel conteggio del Patto di stabilità. Un aiuto imprevisto, poi, potrebbe arrivare dalla Germania. Berlino non ha problemi di conti pubblici al momento ma è sorvegliata speciale perché il sistema produttivo tedesco è “impallato” a causa della crisi interna del mercato cinese e della guerra dei dazi che Pechino ed Europa hanno appena iniziato.

Infine: se la Commissione Europea si dovesse irrigidire sul Patto di Stabilità, dove prendere i soldi per gli investimenti nel famoso “Green Deal” che al momento è solo un elenco di buone intenzioni su carta? Una Europa più accondiscendente con gli investimenti pubblici potrebbe essere conveniente per tutti gli Stati membri. Serve una visione a lungo termine. Mentre gli Usa hanno messo miliardi di dollari sul piatto per favorire la svolta digitale; mentre la Cina sovvenziona le aziende per aiutarle ad esportare è arrivato il momento che l’Unione Europa decida cosa fare da grande. Citando le parole dell’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi: “Abbiamo bisogno di un’Unione Europea che sia adatta alle sfide di oggi e di domani”.

Angelo Vaccariello

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