Conti pubblici, la coperta è corta: dopo due anni Giorgetti inizia a tagliare. Ma la spesa era già fuori controllo

Due anni di Governo e ancora i conti fuori ordine. Se volessimo sintetizzare in una frase i primi ventiquattro mesi di Esecutivo targato Giorgia Meloni, non potremmo scegliere dichiarazione più veritiera. Inutile nascondersi. Nonostante una semi smentita arrivata nel pomeriggio del 3 ottobre, il ministro dell’Economia, Giorgetti, ha ragione quando dichiara a Bloomberg: “Nessun aumento di tasse, ma ci sarà una chiamata di contribuzione per tutti perché – è il ragionamento – la prossima legge di bilancio del governo Meloni conterrà diversi sacrifici. Non solo per le banche e la Pubblica amministrazione, coinvolti anche privati e aziende”.

Coperta corta

Giorgetti sa, e lo scrive nel Piano Strutturale di Bilancio, che la coperta dei conti è corta. Servirà una manovra di 25 miliardi per confermare le azioni intraprese in passato, come il taglio del cuneo fiscale, e quelle introdotte dopo come la riorganizzazione delle aliquote Irpef. Questi due interventi costeranno 18 miliardi. Per i contratti pubblici saranno necessari altri fondi e bisognerà stanziare qualcosa per la sanità (si parla di 3 miliardi), senza contare gli annunci sulle pensioni e le promesse varie. Ci sarebbe infine da tenere i conti sotto controllo per uscire dalla procedura di debito eccessivo che l’Ue ha avviato nei confronti dell’Italia: un taglio di 13 miliardi.

Fonti di finanziamento

Dove prendere i soldi per attuare almeno le azioni “di base” che l’Esecutivo ha in mente? Come accade da qualche anno a questa parte, iniziano a fioccare indiscrezioni per capire come potrà reagire il popolo”. Ad esempio l’allineamento delle accise tra diesel e benzina che porterebbe 3 miliardi nelle casse dello Stato. Poi qualche “manina” ha fatto uscire indiscrezioni sulle pensioni: incentivi per stimolare i lavoratori a non lasciare, addio a quota 41, taglio delle indicizzazioni. Tutte misure che aiuterebbero il Governo a fare cassa ma che generano malumore. Eppure qualcosa si poteva fare prima.

Taglio della spesa

E’ incomprensibile che un Governo di destra, ispirato almeno sulla carta ai principi liberali, non sia riuscito a realizzare un serio taglio della spesa pubblica. Come è stato possibile, ad esempio, fermare definitivamente il Super bonus solo a fine 2023? Perché Palazzo Chigi non è intervenuto prima, visto che la spesa era fuori controllo? E vogliamo parlare dei singoli ministeri? Un rivolo continuo di risorse senza soluzione di continuità a partire dalla campagna “Open to Meraviglia” costata circa 10 milioni di euro ma il cui impatto è stato discutibile, per arrivare ai centri per i rimpatri aperti in Albania il cui costo finale pare si dovrebbe aggirare intorno ai 200 milioni di euro. Una correzione dei conti sarebbe dovuta arrivare già nei primi sei mesi del 2023 ma cosi non è stato.

Poi a nulla sono serviti i report, le analisi indipendenti, le indagini che hanno certificato un aumento del debito pubblico nel corso del 2024, un aumento del deficit e il calo del Pil. L’Esecutivo ha ostinatamente confermato tutti gli obiettivi e, salvo miracoli nei prossimi due mesi, non ne centrerà nemmeno uno nel corso dell’anno, a partire dal Pil che crescerà solo dello 0,8 per cento.
L’aumento del debito che entro la fine dell’anno arriverà a 3mila miliardi di euro crea un enorme problema nella gestione degli interessi. Su 100 euro di spesa in Italia, ben 8 se ne vanno per pagare gli interessi sul debito. E il prossimo anno potrebbero salire a 10. Ecco perché la correzione dei conti è quanto mai urgente.

Pnrr poco efficace

A dare supporto all’azione di Governo, poi, ci sono i fondi del Pnrr. Sfruttando queste risorse, si sarebbero potuti pianificare interventi più incisivi, stimolare la spesa degli investimenti e realizzare azioni a favore della collettività. Nonostante i proclami e i racconti social, però, la spesa non decolla facendo venir meno un pilastro importante degli interventi dello Stato con impatto sul Pil praticamente nullo.

Finanziaria

Insomma, l’Esecutivo cerca di racimolare fondi in tutto i modi senza tagliare la spesa. Per molti sembra un atteggiamento incomprensibile, in realtà fa parte del carattere medio degli italiani: non voler scontentare nessuno. Più spesa pubblica, significa più gestione del potere. Prima o poi, però, i conti si pagano e per gli italiani pare che il momento sia arrivato. Si preferisce fare l’ennesima manovra in deficit piuttosto che dare un taglio deciso alla spesa improduttiva. Quando finiremo di fare interventi di bilancio da campagna elettorale e affronteremo la realtà dei conti disastrati? Speriamo prima che sia troppo tardi.