Angelina Mango ha vinto il festival di Sanremo tra gli applausi scroscianti del pubblico: è nata a Maratea, in Basilicata. Loredana Bertè ha vinto il premio della critica intitolato a sua sorella: è nata a Bagnara, in Calabria. Rosario Fiorello è stato il mattatore delle serate sanremesi, più osannato del conduttore ufficiale Amadeus: è sicilianissimo, come l’amichevole appellativo “Ciuri”, con cui Ama lo ha chiamato tutto il tempo, ci ricorda. Così come la divertente Teresa Mannino, orgogliosamente palermitana. Per non parlare degli altri, tantissimi cantanti in gara provenienti dal sud Italia, come i pugliesi Negramaro, Maninni e Alessandra Amoroso – e Emma Marrone, anche se nata a Firenze – o l’avellinese Big Mama, e la parte siciliana del trio Il Volo.

Senza contare gli italiani di seconda generazione come Ghali, apprezzatissimo da pubblico e critica. E non parliamo di quanti occhi lucidi ci sono stati durante il ricordo di Giogiò, ucciso assurdamente l’estate scorsa, da parte di mamma Daniela Di Maggio, di quanto coinvolgimento emotivo ha creato ovunque. Davvero vogliamo dire che i fischi a Geolier sono espressione di razzismo? O piuttosto di un dissenso che da sempre caratterizza le edizioni di Sanremo, indipendentemente dalla provenienza di chi sta sul palco? Nel 2010 l’orchestra arrivò addirittura a lanciare in aria gli spartiti come gesto di protesta contro il posto sul podio conquistato dal trio Pupo, Emanuele Filiberto, Luca Canonici!

Scandali e polemiche sono il sale di una manifestazione che è italiana nel midollo forse proprio anche per questo: il Super Bowl nostrano è da sempre terreno fertile per criticoni, fischiatori impenitenti e complottisti che insinuano che i voti siano in qualche modo pilotati. Lo stesso Geolier ha commentato serenamente alle domande dei colleghi di “Il Napolista” se i fischi fossero contro lui o la sua città: «Né contro di me né contro Napoli ma contro la scelta di chi aveva votato. In sala probabilmente avevano preferito la cover di Angelina Mango e hanno reagito così. Non facciamo troppo casino su questo». Forse il pubblico non ha apprezzato la deroga a far cantare il giovane rapper in dialetto napoletano, quando nel tempo anche gli stranieri come Luis Miguel hanno dovuto cantare in italiano le loro canzoni per poter competere; ma se si fosse trattato di un testo in dialetto bergamasco stretto ci sarebbe stata meno polemica? Non credo.

La verità è che il palco di Sanremo, grazie anche a una direzione artistica come quella di Amadeus, si è rivelato un luogo aperto, che non ha fatto distinzioni di genere e di provenienza, offrendo l’occasione ai tanti artisti che ci si sono esibiti di esprimere le proprie opinioni in modo sincero e senza censure, e dimostrando anzi che le nuove generazioni sono parecchio sensibili e impegnate, attente a quello che succede e svincolate da logiche antiche, rigide e divisive. Come dire, c’è molta più armonia e solidarietà di quanta i polemisti di professione cerchino di far emergere.